Vladimir Fainberg scrittore |
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Ricordi su padre Aleksandr Men’Per i nomi delle persone, dei
luoghi e degli oggetti che non hanno una traduzione in italiano, per mantenere
una sfumatura russa (o sovietica) è stata adottata la seguente
traslitterazione scientifica: č - sempre dolce come in
italiano cima; ch - suono aspirato come in
tedesco nach; c - z sorda italiana come in zucchero; z - s sonora di rosa; g - sempre duro come in italiano gara; v - in finale di parola si legge f; š - come in italiano scena; ž - come in francese jour; e - je come in ieri; ë - come in ione; o - prima di una sillaba
accentata = a; y - suono velare =
approssimativamente i preceduta da una breve u francese. In russo è comune l’uso
del Voi tra conoscenti, mentre da noi è ormai caduto in disuso.
Traducendo il testo ho mantenuto una certa formalità nelle conversazioni
fra l’Autore e padre Men’ attraverso l’uso del Lei, mentre ho utilizzato il Tu
quando l’Autore racconta del padre. Questo mostra lo stretto rapporto che c’era
fra i due, ma allo stesso tempo mantiene una distanza che veniva naturale a chi
entrava in contatto con una personalità così straordinaria come
quella di padre Men’. *** Caro padre Aleksandr, Aleksandr Vladimirovič, Saša! Quello che avvenne il 9 settembre
del 1990 la mia anima non riesce a contenerlo. Nessun argomento ragionevole,
neanche la tomba nell’angolo del cortiletto della chiesa, niente può
obbligarmi ad abituarmi al fatto che non ci sei più. E che non sarai mai
più con noi. Non verrò più a
confessarmi da te, non sentirò più la tua voce gioiosa e
invitante: - Mio caro, come sono contento
che sia venuto! Tra di noi c’è Cristo. Mi dica, cosa la tormenta, cos’ha
nell’anima? E la mano calorosa non si
poserà più sulla spalla, non mi stringerà più a
sé, paterna. … Non risuonerà alla porta
la tripla scampanellata allegra, non entrerai nell’appartamento, rumoroso,
grande. Non ci abbracceremo, non ci baceremo. I giorni feriali non si
trasformeranno in festa. La ragione ripete che non ci
sarà più nulla di tutto questo. Tutta l’esperienza dell’umanità
è testimonianza di questo. Ma l’anima non si rassegna. Non
riesco a pensare, parlare, scrivere «eri». Per me tu ci sei. Vivo. Ogni ora,
ogni minuto. Per sempre. Quello che è capitato mi
ha trovato nel mezzo di un lavoro su un nuovo romanzo, della cui intenzione ho
fatto in tempo a raccontarti, ho fatto in tempo a leggerti la stesura delle
prime pagine. Come sempre mi sollecitasti: «Scriva in fretta, finchè
c'è tempo e ci sono le forze, finchè c'è la speranza di
pubblicare, chi lo sa cosa succederà poi…». Lavoravo quasi notte e giorno,
intensamente. Tutto il tempo vedevo davanti a me i tuoi occhi luminosi. Questo
lavoro divenne la zattera di salvataggio nel mare della disperazione, quando
venni a sapere della tragedia. E poi il romanzo finì. Ora
non c'è più quella zattera… Le persone che sanno che mi donasti
la tua amicizia mi chiamano, vengono a trovarmi, mi chiedono di scrivere le mie
memorie su padre Aleksandr Men'. Ma come scrivere delle memorie su
qualcuno che per te è vivo? Questo vorrebbe dire riconoscere il fatto
della tua morte. Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša! Settimana dopo settimana, mese dopo mese, e
sempre più spesso mi sorprendo a rivivere, di nuovo e ancora, con amara
dolcezza, quel tempo in cui… 1 … Cade la neve. Dicembre 1977. Mattino cupo,
freddo. Gelo. Vado avanti e indietro vicino allo steccato della chiesa di
Novaja Derevnja. La staccionata è chiusa con un lucchetto. La chiesa
è chiusa, oggi non ci saranno funzioni. Nella casetta di fianco alla
chiesa nessuna finestrella è illuminata . Ho un appuntamento alle otto.
Presto saranno le nove, e il prete ancora non arriva. Può darsi che si
sia dimenticato di avermi chiesto tramite Olja di venire appunto oggi, proprio
alle otto del mattino? Se è così, allora,
perché sto qui a gelare? Dicono che sia giovane, questo Aleksandr Men’.
Dicono che incontrarlo non sia sicuro…[1] Ma dove andare, se né
nelle persone che conosco, nè nei libri a me accessibili, non riesco a
trovare le risposte alle domande che ormai da qualche anno mi tormentano? Non
molto tempo fa, in una casa, ho conosciuto una studentessa del primo anno di
psicologia all'MGU[2].
Si chiama Olja. È credente. Racconta che il suo batjuška[3]
è una persona straordinaria, un pozzo di scienza. Io sono lontano dalla religione.
Batjuška, va bene, io sono affamato e assetato del pane della conoscenza.
Le circostanze sono tali che la mia passata visione del mondo è
crollata, e una nuova non si stabilisce. Non avrei mai pensato che potesse
essere così tormentoso. Chiedo ad Olja di poter parlare col prete, forse
riuscirà a trovare del tempo per incontrarmi. Ed ecco che l'incontro
è fissato. Ma lui continua a non esserci. Olja mi ha detto che Aleksandr
Men' è bello, maestoso. Comunque egli sia, non è
puntuale. Sono già intirizzito. Aspetto da un'ora e mezza. Perchè
non me ne sono andato via? Da un pezzo potevo andare con l'autobus alla fermata
dell'električka[4],
sarei già tornato a Mosca, a casa. … Cade la neve. E improvvisamente
dietro la cortina appare un passante. Vestito non secondo il clima. Cappello.
Cappotto. Corre. Verso di me. Batjuška, in quel momento
non mi sei sembrato nè bello, nè tanto meno maestoso. Vedevo
davanti a me un uomo congelato come un cucciolo. - Mi perdoni, per carità!
È successo qualcosa sulla linea. Non c'era corrente. Sono stato un'ora
sull'električka. Vengo da Semchoz, sotto a Zagorsk. Il cancelletto si apre, saliamo
sul terrazzino della casetta, apri una porta, poi l'altra. - Si sieda, si riscaldi. Arrivo
subito. Studiolo stretto. Caldo. Mensole
su cui sono sistemati stretti i libri. Icone. Una scrivania e due poltrone. Rimasto solo, mi guardo attorno,
mi abituo. Poi riappari in una tonaca nera, con una grande croce d'argento sul
petto. E solo ora vedo che sei bello, maestoso. Tra le mani due grandi tazze
con del tè caldo fumante. Ci sediamo uno di fronte
all'altro. I tuoi occhi attenti, allegri, irradiano apertura. Ed è tutto difficile,
è molto difficile iniziare a parlare. Ho paura che tutte le mie domande
ti risultino incomprensibili, strane. Di fatto, da quando ho iniziato a
lavorare in un laboratorio semiclandestino di parapsicologia, a leggere
regolarmente la letteratura - libri, fotocopie, manoscritti su problemi
toccanti, di cui prima neanche sospettavo l’esistenza - da quando ho iniziato a
curare le persone e, con mia stessa sorpresa, le guarivo veramente, da quel momento
nella mia vita ha fato irruzione una nuova dimensione, che ha distrutto i miei
precedenti ed abituali punti di riferimento. Risultò che intorno a me
la maggior parte delle persone, alcune delle quali con alti titoli accademici,
si occupava dello studio di oggetti volanti non identificati, delle ricerche
dell'uomo delle nevi, dello studio delle misteriose origini delle piramidi…
Molti propagandano l'«Agni-Yoga» di Elena Ivanovna e Nikolaj
Konstantinovič Rerich, dove si sostiene che sull'Himalaya si celano niente
meno che i saggi immortali di Shambala, che influenzano il movimento dei
processi mondiali, a richiesta e per qualunque abitante della terra. A questo punto per la prima volta
interrompesti il mio discorso sconclusionato. - Se questi saggi esistono, che
se ne vadano pure in pensione! Solo in questo secolo ci sono state due guerre
mondiali, una rivoluzione sanguinaria, il terrore, a cui non c’è mai
fine. E una spada di Damocle nucleare! Ti alzi dalla poltrona, percorri
gli scaffali con uno sguardo pensieroso, prendi un libro, un altro, me li
porgi, e in modo così fiducioso, così semplice, pronunci le
parole che come una chiave apriranno le porte del mio futuro. - Mi creda, non c’è nessun
miracolo nel fatto che riesce a guarire qualcuno, nessuno. Questa
possibilità ce l'hanno tutti, come l'udito, la vista. Tutto questo
sonnecchia nell'uomo in modo ridotto, embrionale. La Chiesa ortodossa russa si
rapporta negativamente a questo tipo di guaritori. Si scontrerà ancora
con tutto ciò. La Chiesa moderna è gelosa dei guaritori,
perchè ha perso questo dono. Mentre una volta, nei primi secoli del
Cristianesimo, ogni chiesa aveva il suo guaritore… Nelle mie mani c'è un tomo
di Vladimir Solov'ëv e un libro di un certo Svetlov, Le fonti della religione. Io, ovviamente, non sapevo ancora che E.
Svetlov era uno dei tuoi pseudonimi. Mi accompagni. Scopro che nella
stanza vicina, nel corridoio, ci sono delle persone, sedute e in piedi, una
fila intera di persone desiderose di incontrare padre Aleksandr Men'. Hanno le
loro domande, la loro ansia, il dolore e la speranza. 2 Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša! Per colpa della mia eterna indolenza non ho mai
appuntato ciò che mi dicevi. Nei dodici anni della nostra comunione
avrei potuto metter insieme un altro libro, il tuo. Non prendo nota, non
accendo il registratore. La tua presenza sembra così naturale, eterna.
Non faccio una foto ogni volta al levar del sole! Se le persone che si trovavano
vicino a Cristo, agli apostoli, fossero state istruite, avrebbero forse preso
appunti? È poco probabile. La presenza del miracolo afferra, pensi che
non possa avere fine… Mi ricordo sono alcune cose. Mattino invernale. Ancora buio.
Esci dal metro verso le casse locali della stazione Jaroslavskij, compri il
biglietto per l'električka, e ogni volta vedi dei volti noti. Congelati,
giovani, felici. Anche queste persone vanno a Puškino, alla chiesa di
Novaja Derevnja. L'električka passa
velocemente accanto alle periferie innevate di Mosca, alle fabbriche, agli
steccati, alle dacie. Lentamente, come assonnato, si fa giorno. Porto la solita
pila di libri che ho letto, con i quali mi «nutri». I libri sono di argomento
diverso: teologici, scientifici, filosofici. Risolvendo un problema ne destano
ancora di più. Sto facendo un lavoro enorme dentro di me. Non mi spingi
in nessuna direzione, mi lasci una completa libertà spirituale. Autore di dieci libri di poesia e
di prosa già pubblicati, già da lungo tempo non riesco a scrivere
come prima. Pensare come sempre. Nonostante tutto quello che io abbia scritto
prima fosse sincero, ma la mia precedente comprensione del mondo, delle
persone, degli eventi, ora la vedo come caduca: in essa manca la cosa
più importante, fondamentale. Cosa? Durante questo inverno vengo da te
molte volte. E aspetto il momento in cui mi dirai direttamente: «Bisogna
ricevere il battesimo. Solo il Cristianesimo dà l'unico punto di
partenza, l'unica strada vera». Di questo urlano tutte le tue opere! Ma per qualche motivo non me lo
dici, e continui a «nutrirmi» con i libri. … Eccomi a Puškino. Alla
fermata dell'autobus 24 si ritrovano gli stessi ragazzi e ragazze. Sono tutti
diversi, ma formano una sola famiglia. Sull'autobus appena arrivato si siedono
i vecchietti e le vecchiette del posto, anch'essi membri di quella stessa
famiglia. Si conoscono tutti. Si salutano,
si sorridono. Vanno in chiesa come a una festa. L'autobus oltrepassa gli
squallidi quartieri della cittadina, all'incrocio svolta a sinistra, in
direzione della superstrada Jaroslavskij, verso Novaja Derevnja. La neve pulita
evidenzia il verde dei pini. Il sole appena spuntato illumina la cupola della
modesta chiesa di campagna nel vicolo. Togliendo il cappello, salgo sul
sagrato. A destra e a sinistra siedono i poveri, un vecchio magro con un rigo
di muco che pende dal naso, e una signora con le guance grassocce e gli occhi
furbi da ubriaca. Sono entrambi ripugnanti, come tutti i parassiti. Io, come se
non notassi le loro mani sfacciatamente protese, passo loro davanti. La funzione è già
iniziata. Le vecchiette del coro cantano in modo commovente, nella cappella di
destra c’è la coda. E lì, sotto la grande icona della Santa
Trinità, ci sei tu, e con la stola copri il capo chino. Sebbene non sia la prima volta
che vengo qui, molte cose sono confuse, ma questa volta io, estraneo, non
battezzato, mi rendo conto di ciò che mai, da nessuna parte, fino ad ora
ho provato: questa è casa mia, qui sto bene, mi sento a mio agio. E allo
stesso tempo ho paura di quello che chiamano «ritualismo»: quando in modo
fanatico viene venerata l'apparenza, la forma. Verso la fine della Messa, quando
tutti, seguendoti, cantano il Padre Nostro, faccio attenzione al volto
illuminato di una gracile signora anziana, che si trova nel coro di sinistra.
Dai suoi occhi si riversa un fiume di amore, tangibile. Come un raggio di sole,
esso illumina ogni persona, provocando un sentimento di risposta. - Chi è? - chiedo io, dopo
che i parrocchiani se ne vanno dopo il bacio della croce e la predica. - È mia mamma. Elena
Semënovna. Presentatevi. Volevo chiederle, se le è possibile, di
provare ad aiutarla; ha una malattia al fegato. Mi affidi la persona che ti
è più vicina, che ti è più cara. Forse è proprio per questo
che più tardi, quando ci troviamo faccia a faccia nel tuo studio, trovo
il coraggio di dire: - Padre Aleksandr, batjuška,
mi battezzi. Mi sembra di essere pronto. - È l'entusiasmo
pionieristico che parla in lei - mi rispondi. - È molto che legge i
Vangeli? - A mio tempo sono riuscito ad
imparare tutta la Bibbia - dico io, leggermente offeso. - A Koktebel' l’ho
letta tutto l'inverno, Maria Stepanovna Vološina[5] mi ha
costretto. - Per il Vecchio Testamento
c'è bisogno di una chiave. Mentre il Vangelo… C'è il Vangelo?
Tranquillamente, senza fretta, li rilegga daccapo. Quando sarà davvero
maturato lo sentirò, io stesso stabilirò il momento del
battesimo. D'accordo? Forse hai ragione tu, ma mi
dispiace. E ti chiedo rispetto ai poveri sgradevoli sul sagrato: per quale
motivo bisogna far loro, palesi parassiti, la carità? - Il sole splende allo stesso
modo per tutti, - rispondi - come anche la Grazia di Dio. Per quale motivo ha
deciso di giudicare quegli infelici? Chi lo sa cosa li ha portati fino a quello
stato? 3 Tutto l'inverno, per tutto il
'78, come se non avessi altri impegni, mi tengo in contatto con Elena
Semënovna, vado a trovarla a casa. Spesso e sempre inaspettatamente ti
incontro in questo piccolo appartamento, quando vai a trovare la tua mamma e le
porti del cibo e le medicine. Sai bene che Elena Semënovna
ha il fegato completamente distrutto. Io riesco appena a togliere il dolore e
il prurito terribile. Ovviamente, lei mi racconta molte
cose su di te, sulla tua infanzia, sulla Chiesa «catacombale», su tua zia, mi
dà da leggere un quaderno con i suoi ricordi. Una volta mi diede un libretto
azzurro, stampato a Varsavia, un libro di preghiere, grazie al quale ho
imparato le preghiere e che conservo con venerazione, come una reliquia. Mi trovo qui a scrivere e, come
fosse viva, mi appare davanti tua mamma, il viso splendente di una sorprendente
bellezza biblica, come se con i suoi tratti riproducesse i tempi di Abramo, di
Isacco e di Giacobbe. Nè l'età, nè la malattia hanno
potere su di lei, quando ti vede, quando parliamo di te. Splende tutta di un
divino amore materno. Una volta mi disse: «Per lui è difficile, molto
difficile. Volodja, quando morirò non lasciatelo. Vi supplico in nome di
Dio». Ma Elena Semënovna non
conosce neanche un decimo delle condizioni in cui avviene il tuo servizio.
Dalla soffitta della casa vicina gli agenti del KGB registrano su pellicola
ogni persona che entra in chiesa, il parroco, zelante e invidioso, si mette a
seguire ogni tuo passo, ogni tua predica. Ci sono informatori anche tra i
parrocchiani. Ma questo non è ancora
tutto. Una volta, quando in una sera
primaverile usciamo insieme dalla casa di Elena Semënovna, chiedo: - Aleksandr Vladimirovič, lo
sa che alcuni dissidenti sono profondamente convinti che lei sia un generale
cospiratore del KGB? Come se di proposito lei si metta a raggruppare attorno a
sè i giovani, l'intelligencija moscovita, ad ascoltare le confessioni e
poi vada a denunciarli. - Questa non la sapevo ancora! -
ridacchi come un bambino. - Però avevo già sentito di essere un
agente cospiratore del sionismo. Altri affermano che Men' è un cattolico
in segreto, che lotta contro l'ortodossia. Mentre gli organi sostengono che io
sia un agente della CIA, un dissidente. Ed ecco, ora vien fuori che io non sia
nientemeno che un generale del KGB! - Si, e se lei è un
generale, allora io sono un colonnello. - Perchè? Racconto del fatto che, a suo
tempo, a Suchumi, spesso vedevo sul tram un uomo che non conoscevo, il quale mi
salutava sempre con l'esclamazione: «Saluti, colonnello!». Quando gli chiesi
perchè proprio colonnello, mi spiegò che ognuno nasce con un
grado militare. «E voi, dato che siete zoppo, non soggetto alla leva, siete un
tipico colonnello! E anche se vi farete in quattro non diventerete mai
generale!». Aleksandr Vladimirovič, ridi
e dici che un punto di vista così originale sull'uomo non lo avevi
ancora trovato. Mentre io per la prima volta con ansia mi ritrovo a pensare a
te, al tuo destino: «Davvero lei solo stava ai quattro venti. Cosa l’aspetta?
Il destino tragico degli apostoli di Cristo?» - da allora l’ansia non mi
abbandona più. E da allora tu hai cominciato a chiamarmi scherzosamente
“Colonnello”. 4 Per tutto questo tempo leggo e
rileggo il Vangelo, insieme ad altri libri di teologia. Non ho neanche un
briciolo di dubbio sulla giustezza della scelta che ho fatto. Ma quanto
è difficile, nella pratica, seguire tutti i giorni i comandamenti di
Cristo! A casa ho delle condizioni disperate. I mie i genitori, pensionati, non
sono più autosufficienti, con mio figlio va male. Da tempo hanno smesso
di pubblicarmi. Cronicamente al verde. Mi faccio in quattro tra i
parenti, la routine quotidiana, la fiumana di pazienti che ricevo ogni mattina[6]. Una volta, in estate, sono in un
negozio, in fondo alla coda. Uno spilungone si arrampica sul bancone per
prendere un salame, spingendo le vecchiette rassegnate. Io gli chiedo di
mettersi in fila. «E tu, giudeo, cos’è, hai bisogno più di
tutti?!?» si gira verso di me. In risposta all'offesa, la mia
mano destra si stringe automaticamente in un pugno, un riflesso sviluppato in
anni di umiliazioni. Ancora un secondo e scoppierà la rissa. E lì, padre Aleksandr, mi
sono ricordato di te. Il Vangelo, i comandamenti di Cristo. Com'è
difficile tirar fuori certe parole! Come se imparassi a parlare in
una lingua nuova, incredibile: - Come ti chiami? - chiedo allo
spilungone. - Pregherò Dio per te. Anche i suoi pugni si abbassano.
E così, senza aver comprato il salame, lo spilungone esce. Il resto della fila mi guarda con
perplessità. E io brucio tutto di un calore sconosciuto. Improvvisamente il ragazzo
riappare. Misero. - Amico, perdonami. Senti,
perdonami… In questo modo imparo, comprendo
le nuove regole per rapportarsi alle persone, al mondo. Proprio in quel periodo mi
imbatto in un’icona di Cristo, affumicata da un incendio, venuta a me per vie
fantastiche e incomprensibili, come fosse arrivata di per sé. Sul libro
aperto, che Egli tiene tra le mani, si deduce sia scritto: «Venite a Me,
affaticati e oppressi». È sorprendente come, senza
sapere nulla di questi fatti, durante il consueto incontro tu improvvisamente
dici: - Il dodici luglio da noi
è festa grande, è il giorno degli apostoli Pietro e Paolo. Si
prepari. Venga. Dopo la Messa la battezzerò. Arriva la vigilia della festa. La
sera tardi carico la sveglia, la punto per le sei del mattino in modo da, non
volesse Dio, non dormire fino a tardi, ripeto nuovamente le preghiere, il
«Simbolo della Fede», ancora una volta, avvilito, ripenso agli eventi della mia
vita peccaminosa. Ed ecco che inizia. «Ma che stai facendo?» penso io,
che per così tanti mesi ho aspettato il giorno del Battesimo. «Portare
il crocifisso al collo, baciare le icone, accendere le candele insieme alle
vecchiette, osservare il digiuno… Come posso arrivare a una simile vita? Con
buona volontà affidarsi all'abbraccio della Chiesa, che dice di si in
tutto allo stato… Padre Aleksandr Men' è semplicemente un’eccezione.
Mentre io, come ogni uomo non iscritto nel sistema, cerco una consolazione, una
possibilità di distacco dalla realtà. Un'altra domanda: esiste
veramente questa vita eterna, il Regno dei Cieli?». Questi pensieri come fossero
macine riducono in cenere tutto ciò a cui sono giunto negli ultimi mesi,
tutti i frutti del lavoro spirituale. Alla fin fine mi metto a dormire
all’una di notte, prendendo la decisione finale di non andare a Novaja
Derevnja. Ma non riesco ad addormentarmi. Appena chiudo gli occhi, un tremolio
di linee e macchie bianche e nere. Seccature, vertigini. Mi alzo. Accendo la luce. Il tremolio
di linee continua anche ad occhi aperti. Non mi era mai capitato qualcosa di
simile, nè mi capitò più. Lo sguardo mi cade sulla parete,
sull'immagine del Salvatore. «Signore, Gesù Cristo, salvami!», mi
rivolgo a Dio con disperazione, sollevo la mano destra, in modo impacciato mi
faccio il segno della croce, e immediatamente l'ossessione scompare. Come
troncata. Le quattro del mattino. Mi metto a dormire. Dopo due ore il trillo della
sveglia mi fa destare. È una fresca mattina estiva. Mi alzo in fretta e
mi preparo. Avendo dormito bene sono deciso, felice di ciò che sta per
avvenire. Nel tuo studio, dopo la funzione,
mi battezzi in Cristo. Confessandomi, mi rimetti tutti i
peccati della vita precedente. Mi dici che ora sono puro come un bambino appena
nato. Mi metti una collanina con una croce di rame. Una sensazione di enorme
responsabilità mi avvolge. Racconto di quello che mi
è successo la notte precedente. - Mio caro, mi perdoni! Non
l'avevo avvisata! Succede. Succede spesso. È un tipico attacco delle
creazioni oscure dell’animo, delle forze diaboliche. È bene che abbia
chiesto aiuto al Signore! Sa, ci sono dei casi in cui un uomo che va a farsi
battezzare si addormenta di colpo nel vagone e passa oltre Puškino, oppure
si siede sull'električka sbagliata e si trova a Bolševo, o da qualche
altra parte. Succede di tutto! Mi abbracci forte, mi regali le
fotocopie rilegate del tuo libro Messaggeri
del Regno di Dio e ci scrivi: «Perchè la memoria di questo giorno
non si spenga mai. A. 12 Luglio '78». 5 L'iniziazione alla vita della
Chiesa, al calendario ecclesiale, è come se unisse all'eternità.
I santi e i martiri cristiani diventano delle persone altrettanto vicine e
familiari quanto quelle che ti circondano in chiesa. Gradualmente la massa
uniforme di oranti si rivela essere un'assemblea di personalità
brillanti, realmente fratelli e sorelle. Solo uno sguardo esterno poteva vedere
in essi una massa indistinta. Marija Jakovlevna è
un'anziana contadina russa di Novaja Derevnja. Quante sofferenze ha passato nella
vita! Ma quanta bontà nel sorriso, negli occhi. Quando mi vedeva,
immancabilmente mi faceva gli auguri, mi baciava e mi diceva: «Che Dio ti
salvi, Volodja!». E il cuore si riempie del calore
in risposta all'amore e alla bontà. E la vocina debole e toccante di
Sonečka, che nel coro si riconosceva anche da lontano! Era sempre al suo
posto, come una stellina nel firmamento. Da qualche anno, senza neanche
notarlo, ho iniziato a sentirmi realmente un membro di questa famiglia
cristiana. Batjuška, come mi dispiace
non aver conservato nessuna delle tue lettere con le richieste di aiuto a
questo o quel parrocchiano. Alla fine di ognuna c'era un disegno, una lepre o
uno scoiattolino… Non solo, hai centinaia e centinaia di parrocchiani, e li
conosci tutti per nome, tieni a mente la loro vita e tutti i loro problemi, ad
ognuno trovi un analogo nel regno animale o vegetale. Tutto ciò che di serio e
significativo viene da te, spesso prende una forma scherzosa. E quanto
c’è in te di infantile, di puerile! Ma la canizie inizia già a
colorare i baffi e la barba… Arriva il giorno in cui prepariamo il pranzo di
commemorazione dopo il funerale di Elena Semënovna, tua mamma. E dopo qualche mese, in una
fredda sera di bufera, risuona inaspettato il triplo squillo di campanello. Apro. Congelato, coperto di neve, con
le occhiaie gonfie, sei lì in piedi, batjuška! In una mano la
cartella pesante, nell'altra una borsa di rete con dei cartoni di latte, delle
bottiglie di kefir[7], una
confezione di uova, del burro e delle arance. - Ecco dove vive, Colonnello! Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša, così quella sera sei entrato nella mia
casa, hai conosciuto i miei genitori e mio figlio. Vedi con i tuoi occhi
l’ambiente che finora hai conosciuto solo dai miei racconti. Sediamo tutti
insieme attorno al tavolo in cucina, ceniamo, ci serviamo delle arance.
C’è un contatto perfetto tra te e i miei familiari, come se vi
conosceste da tutta la vita. - Batjuška, perché ha
trascinato fin qui la sportina ed è stato in fila? - dico, mentre ci
appartiamo. - Colonnello, oggi ci sono le
strade ghiacciate e c’è la bufera. Per lei era complicato andare a fare
la spesa, - mi rispondi, - mentre io ero già in città. Ti lasci andare sulla poltrona
che sta di fronte alla mia serra con le piante tropicali. E io vedo un uomo
stanco morto, che desidera rimanere solo per un minuto. Esco, chiudendo bene la porta. - Che persona splendida il tuo
batjuška, - dice mia madre, - forse che tutti i preti sono così? Mi porto un dito alle labbra.
Dopo un quarto d’ora la porta si apre. - Piante stupende. Colonnello!
È come se fossi stato nella giungla amazzonica! Beh, se mi sbrigo riesco
ancora a prendere l’električka delle 21.40 - improvvisamente mi sussurri
all’orecchio: - Mi hanno chiamato per un interrogatorio. In risposta al mio sguardo
smarrito e interrogativo, esclami con forza e ad alta voce: - Non è nulla. Ce la
faremo! 6 Qui, proprio al centro di uno
Stato ateo totalitario, è stata creata un'opera gigantesca, nella quale
viene analizzata la storia della ricerca spirituale di tutta l'umanità.
Ognuno dei sei tomi di quest'opera porta ad una conclusione inconfutabile: la
storia dell'umanità è il suo cammino verso Dio. Un cammino non
lineare, ingarbugliato, pieno di tragiche digressioni, ma sempre con un vettore
costante. Quest'opera è stata
scritta da un uomo. Sei seduto in macchina, di fianco
a me, in silenzio. Stiamo andando al villaggio di Semchoz lungo l’autostrada
Jaroslavskij. Mai, neanche una volta ti ho
chiesto in che modo tu sia riuscito a far arrivare in Belgio questi libri e a
stamparli là. So che ci sono delle tematiche di cui per ora non bisogna
parlare. Spesso vedo che con dei ghirigori simbolici, comprensibili solo a te,
scrivi sulla rubrica logora cognomi, indirizzi, numeri di telefono. Questo per
non compromettere le persone in caso di una perquisizione. A te, un prete, che anche con i
fatti giornalmente predichi apertura, amore, non violenza, tocca condurre una
vita da cospiratore. Per anni, decenni, in qualsiasi momento della giornata
pronto all'arresto. Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša! Cosa, oltre alla preghiera, posso fare per te?!? Quale odio nelle alte sfere della
gerarchia ecclesiale suscita il fatto che nelle tue vene scorra sangue ebreo!
Il sangue degli apostoli. Della Madre di Dio, di Cristo stesso! E ancora ti
odiano per invidia. Te, un uomo che in un’epoca di persecuzioni contro la
religione ha attirato migliaia di cuori con la sua predicazione e con le
funzioni, e che da solo ha creato un’opera di significato
universale. I padri spirituali, a lor vergogna, trovano il modo per non
stamparti nelle pubblicazioni del Patriarcato. In collaborazione con altri
“padri” degli organi di sicurezza aspettano solo il momento di isolarti dalla
gente, di annientarti. - Perché è triste,
Colonnello? - Nulla, batjuška. Guido la mia «zaporožec»[8]
con il comando manuale, che ho ricevuto da poco tramite la previdenza sociale e
che oggi hai benedetto, vicino alle porte della chiesa. Guido con particolare
attenzione, di fianco a me c’è la più preziosa delle vite umane! - Freni. Si fermi! - mi chiedi. Fermiamo la macchina su una
collina scoscesa, scendiamo sul ciglio della strada. - Guardi, che bellezza! Ecco,
laggiù nella valle, Radonež, città natale del venerabile
Sergij[9]! Da
molto tempo volevo mostrarle questo posto. Con amore mi racconti del santo
eremita, che si merita l'avvenimento della Madre di Dio, grande patriota della
terra russa. Ti ascolto con attenzione, e mi
dispiace che non ti possano vedere nè ascoltare alcuni capi
dell'Ortodossia russa. Come se ogni giorno invitassero gli altri al pentimento.
Se una qualche volta leggeranno queste righe, che si pentano loro stessi,
seppur tardivamente, per il destino che hanno preparato ad Aleksandr Men'! Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša! Le tue labbra si muovono. Stai lì, sul
ciglio dell’autostrada, sul dirupo, e preghi: -
Î ñâÿùåííàÿ ãëàâî, ïðåïîäîáèå è áîãîíîñíå îò÷å íàø Ñåðãèå... Io ascolto attentamente e
timidamente ripeto dopo di te: - Ìîëèòâîþ òâîåþ è âåðîþ è ëþáîâèþ ÿæå ê Áîãó, è ÷èñòîòîþ
ñåðäöà... Poi arriviamo a Semchoz e per la
prima volta vengo a casa tua. Oggi, qui, ti racconterò
del progetto di un lavoro pensato in questi ultimi anni. Per questo mi hai
invitato a casa tua. Sono in ansia. Tutta l'esperienza della mia vita
spirituale ha iniziato come a
cristallizzarsi, è comparsa una sensazione acuta di doverla
portare alla gente. - Ora le preparo il pranzo.
Faccio una zuppa, - mi dici, ed effettivamente inizi a preparare il pranzo. - Grazie batjuška. Per
quanto mi riguarda, non mangio il primo. E in generale non mi va di mangiare.
Piuttosto preferisco parlare. - No, Colonnello, no. Colonnello!
Dove è andato a finire il colonnello? - canticchi mescolando qualcosa
nella pentola, metti sul fornello una padella e versi l'acqua nella teiera. Mi sembra che preparare il pasto
ti procuri una certa soddisfazione. Ma in generale tutto quello che fai, lo fai
con piacere. Secondo la concezione del mondo
dei raggi-yoga, le vibrazioni positive o negative dell'uomo passano in
ciò che egli fa, che sia nel cibo cucinato, nelle opere d'arte, o,
diciamo, nella costruzione di una casa. In ogni caso, mi prepari un
pranzo buonissimo, poi beviamo un caffè e io ti racconto del progetto
per il prossimo libro. Tenendoti la barba con una mano,
stai lì seduto. Ogni tanto ti accigli, ogni tanto sorridi. Poi ti alzi,
metti in ordine il tavolo. E d'improvviso mi interrompi: - Scriva immediatamente! - Ma io, secondo me, non sono
ancora pronto. E poi, chi mi pubblicherà? - Questo non la deve preoccupare.
Tutto è nelle mani del Signore. Il suo compito è quello di
scrivere. Questo è indispensabile. Quanto ha già scritto? - Neanche una riga. - Beh, Colonnello, è
semplicemente un pigrone. Bisogna sbrigarsi, finchè siamo vivi. Chi lo
sa cosa ci aspetta… Mi benedici con il segno della
croce: «Scriva liberamente, con tutte le sue forze. E tenga conto, anche se
sono occupato, verrò spesso, ad ascoltare come se la cava». 7 Ecco come iniziò. È difficile immaginare se
ce l'avrei fatta a scrivere un romanzo senza il tuo appoggio. In questi anni
muoiono i miei genitori, prima mia madre, e poco dopo mio padre. Arrestano
delle persone che ritenevo essere i miei più cari amici. E ogni giorno
arrivano malati da ogni dove. A causa delle enormi
difficoltà, il lavoro sul romanzo si dilunga per sette anni. E per tutto
questo tempo mi sei sempre vicino. Una volta o due al mese, sia con la canicola
che col gelo, arrivi da me; io apro la cartelletta azzurra dove sono accumulati
i fogli scritti a mano. Leggo ad alta voce. Tu bevi il tè, ti alzi,
cammini su e giù per la stanza, metti delle annotazioni-ghirigori su dei
foglietti di carta. Non ricordo nessuna occasione in
cui mi hai fatto delle osservazioni sul testo o sulla composizione. Tuttavia,
quando senti che da qualche parte non sono abbastanza preciso nella mia visione
del mondo o indugio in alcune conclusioni che mi sembrano troppo sbalorditive
per i lettori, allora mi dai una lezione intera. Veramente ispirante. Poi ti accompagno alla stazione
Jaroslavskij. - Dio la protegga! - mi benedici,
scendi dalla macchina e, senza guardarti attorno, cammini verso l'električka.
Una figura dalle spalle larghe sotto al cappello, con l'impermeabile e la
solita cartella in mano. La folla ti copre già… Una volta, in un giorno d’estate,
suona il telefono. È Lidočka Muranova, una parrocchiana della
nostra chiesa, fa il fonico e la sarta di mestiere, è brava in tutti i
lavori manuali. - Vladimir L'vovič!
C'è da me padre Aleksandr che sta male. Ha quasi la febbre a quaranta!
È qualcosa con la colonna vertebrale. La chiamo senza che lui lo sappia,
perchè non mi permette di disturbarla. Mi annoto l'indirizzo. Corro a
perdifiato con la «zaporožec» in un vicolo dell'Arbat. Entro
nell'appartamento dove ci sei tu, in piedi, che detti qualcosa al registratore,
il viso contratto dal dolore. Ti sfioro la fronte.
Effettivamente arde. Io e Lidja ti costringiamo a provare la febbre. Trentotto
e nove. Salta fuori che periodicamente ti
viene una suppurazione di una cisti congenita alla colonna vertebrale. Questa
volta è un episodio particolarmente acuto. Telefono a un chirurgo che
conosco all'ospedale 71, a Kuncevo. Questi mi dice che si tratta di una cosa
seria, è necessario aprire d'urgenza la suppurazione con una piccola
operazione. Promette di incontrarci all'accettazione. - Aleksandr Vladimirovič,
andiamo! Subito! - Macchè?!? Colonnello, si
riassorbirà. Con la forza io e Lidija
riusciamo a prepararti e a metterti in macchina. Guardo, non riesci neanche a
sederti per bene, ti appoggi sul fianco. Esco dalla confusione dei vicoli
dell'Arbat, e sento il segnale di richiamo di una «čajka»[10] nera
che, sorpassandoci, si ferma vicino al marciapiede. Nella «čajka»
c'è un uomo con i paramenti bianchi da metropolita. - È Juvenalij. Freni,
Colonnello! Un minuto dopo seguo la
«čajka» da solo, con aria smarrita. La macchina del metropolita, con te a
bordo, entra nell'ingresso della sezione straniera del Patriarcato in via
Ryleeva. Aspetto vicino al marciapiede.
Aspetto lì dieci minuti, venti, mezz'ora. Aspetta anche il chirurgo
all'accettazione. Finalmente esci, camminando di
lato, zoppicando leggermente. Sorridi. - Mi perdoni! Juvenalij sembra
essere l'unico delle gerarchie ad avere un buon rapporto con me. Mi dà
una mano come può… - Ma lo sa, batjuška, che
nelle sue condizioni un ritardo è pericolosissimo? - Tutto è nelle mani di
Dio! Arriviamo all'ospedale. Subito
dopo la visita ritorni insieme al chirurgo. - In teoria è
indispensabile un intervento radicale - dice lui, - ma ora sarebbe comunque
necessario aprire il focolaio infiammato. Sotto anestesia locale. E fate
attenzione, dopo l’operazione il malato deve
rimanere qui fino a domattina. Mi guardi con sguardo
interrogativo, come un bambino. - Ma magari non è
necessario… Io acconsento. Questa è la
prima e unica volta che prendo una decisione per te. Quindi rimango da solo
nella stanza. Per tutto il tempo dell'operazione a cosa non ho pensato! E i
tuoi parenti non sanno nulla… L'unica cosa che resta da fare è pregare
che tutto vada per il meglio. - Colonnello! Si è
annoiato a star qui? - gli inservienti ti fanno entrare e ti sistemano sul
divano, pallido e fasciato dalle bende. Segue il chirurgo. - Io ora vado. Questa è la
chiave della stanza. E qui ci sono le medicine. Le medicazioni le fanno di
mattina. Poi si potrà andare a casa senza fretta. A proposito, ecco il
termometro, fra un'ora, un'ora e mezza provi la febbre. - Che ore sono adesso? - mi
chiedi non appena rimaniamo noi due. - Le cinque. - Perfetto! Arriverò a
casa prima che sia buio. - Non andrà da nessuna
parte! - Andrò, andrò! -
canticchi, iniziando ad alzarti. - Mi sento benissimo! Benissimo! - Ma adesso se ne va il primo
gelo, lo sa! - Colonnello, se veramente ha un
buon rapporto con me, mi aiuti ad indossare le scarpe e la giacca. - Assolutamente no! Ora torni a
sdraiarsi! Attenzione o veniamo alle mani, batjuška. Io non la lascio
andare da nessuna parte. - Ok, sto qui una mezz'ora e poi
andiamo. D'accordo? Decido di non rispondere, spero
che tu ti infiacchisca e ti addormenti. Mi avvicino alla finestra, guardo il
cortile dell'ospedale, il verde degli alberi. - Secondo me la febbre è
scesa. Colonnello, non si arrabbi. Forza che la proviamo. Dopo un minuto allunghi
vittorioso il termometro. - Trentasei e otto! - Ma l'ha scosso prima di
metterlo? - Certo! - Mettiamolo ancora, - scuoto il
termometro e te lo infilo sotto l'ascella. - Aleksandr Vladimirovič, non
bisogna ingannare gli amici! Trascorsi cinque minuti riprendo
il termometro: trentasette e quattro. - Ah, e questa sarebbe febbre?!?
- ti alzi di nuovo. - Vladimir L'vovič, Volodja, per carità di Dio,
andiamocene da qua! Voglio andare a casa. A casa anche le pareti aiutano,
davvero! Mi sorridi in modo disarmante, mi
preghi. E io cedo. Dopo aver preso le medicine, usciamo dall'ospedale. Ti
sorreggo e porto la tua pesante cartella. E sento una risata. Ridacchi fino
alle lacrime, sebbene anche solo ridere ti provochi molto dolore. - Che c'è da ridere,
batjuška? - A guardarci da fuori dobbiamo
sembrare due dervisci. Uno si trascina a malapena, l'altro zoppica. Che bella
coppia! A stento arriviamo alla
«zaporožec», ma subito inizia un nuovo attacco. - Spero che lei ora vada fino
alla stazione Jaroslavskij. - Assolutamente no, la porto
direttamente a Semchoz, a casa. - Per nessun motivo! Vado in
električka. La macchina coi sobbalzi mi fa male. - E l'električka non
sobbalza? - No! L'električka da tempo
è casa mia, il mio studio. Se mi riesce di sedermi posso scrivere,
leggere. Sono abituato. Mentre ora in macchina mi fa male. Ok, Volodja? - Ok, Saša - mi scappa per
la prima volta. Alla stazione Jaroslavskij ti faccio sedere
sull'električka. E subito tiri fuori dalla cartella la stilografica, un
foglio di carta e riponi la cartelletta. 8 Dopo essere stato da me ad
ascoltare le nuove pagine del romanzo, di solito non ti porto subito alla
stazione. Spesso ci capita di girare per ore per le vie e i vicoli di Mosca,
visitiamo gli appartamenti dove amministri i sacramenti, dai la Comunione ai
malati e ai moribondi, battezzi, sposi. Io cerco di aiutarti, per come posso.
In un'afosa giornata d’estate mi chiedi di portarti nel quartiere di
Tušino. Vaghiamo a lungo in cerca della casa di riposo. Finalmente
arriviamo ad un cortile pieno di pioppi. Scendi dalla macchina e mi dici: - Aspetti qua. Là dentro
fa paura. - Fa niente, batjuška. Vengo
con lei. - No. Non se lo immagina neanche
quello che si fa là. Non lo sopporterebbe. Cammini lungo il viottolo
attraversando i piumini dei pioppi e apri una porta malridotta. Rimasto solo in macchina, penso
alla tua solitudine. Ufficialmente battezzare, sposare, dispensare il Mistero
della Comunione è permesso solo in chiesa. Ogni volta, uscendo per
incontrare la gente, rischi… E noi, i tuoi figli spirituali, spesso ci
dimentichiamo di questo, abbiamo un atteggiamento egoistico nei tuoi confronti,
ci dimentichiamo delle condizioni in cui avviene il tuo servizio. Molti
semplicemente ti compromettono. Chi divorzia dopo il matrimonio, chi, quasi
pentito, trova subito il modo di compiere qualche azione orribile. Oggi mi hai
raccontato di un ragazzo che si è appassionato al dissenso, ma poi dal
reparto di isolamento istruttorio ha scritto sotto dettatura una lettera
diffamatoria nei tuoi confronti. Mi hai raccontato tutto questo senza
condannare quel pover'uomo, poco intelligente. E non appena mi sono indignato, ho sentito: - Ma cosa vuole? Se non lo ha
notato, nelle chiese ci sono semplicemente molti malati di mente. Abbiamo il
materiale umano che abbiamo. Cristo non è venuto per i giusti… Dopo un'ora la porta malridotta
si apre. Vieni verso di me più grigio, invecchiato. - Mi perdoni, Colonnello. L'ho
trattenuta parecchio. In silenzio andiamo alla stazione
Jaroslavskij. - Cosa c'era là,
batjuška? - Solitudine, umiliazione,
desolazione, povertà terrificante, puzza di urina, lenzuola sporche e
stracce. Vecchi infelici! E per di più, quasi tutti hanno dei figli e
dei nipoti che vivono beati. Li hanno dati allo stato per farli morire. - Mio Dio, cosa succede!?!
Batjuška, Le tocca ascoltare le confessioni di centinaia di persone. Cosa
pensano di sè? - Eh, Colonnello! Chi viene a
ricevere la benedizione per l'estrazione di un dente, chi si arrabbia con la
suocera, e chi avanza delle pretese verso Dio; a sentir loro, Egli non ascolta
in nessun modo le loro preghiere. Tutte queste persone sono vittime, non amate,
che non hanno mai ricevuto una briciola d'amore, e per questo a loro volta non
sono in grado di darne a nessuno. Bisogna avere pazienza… - Aleksandr Vladimirovič, ha
un aspetto stanco. Non è ora che si prenda una vacanza? - A dire il vero, non ho nessun
posto dove andare. In passato, tanti anni fa, sono andato a Koktebel', avevo
affittato una stanza. Mi piaceva lì. Lavoravo, facevo il bagno. L'ultima
volta, mentre io non ero in casa, piombarono all'improvviso con una
perquisizione, mi rivoltarono tutto… Spaventarono la padrona. Posso forse mettere
qualcuno nei guai? 9 Mercoledì, nella seconda
metà della giornata, devi venire da me. Ma sul tavolo c'è un
capitolo non finito, forse il più importante di tutto il romanzo. Mi alzo presto, è una
mattina d’estate. Mi immagino te, che ora, con i paramenti sacri, sei nel fiume
di luce solare che si riversa dalle finestre della chiesa: «Sia benedetto il
Regno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!»[11]. Oltre al fatto che regolarmente,
come tutti i parrocchiani, vado a Novaja Derevnja, mi confesso, faccio la
comunione, mi manca sempre questo sentimento di comunione e di vicinanza con
l'Altissimo. Tuttavia, la sola consapevolezza
che nella piccola chiesa fuori Mosca ora c'è la funzione, si celebra la
Liturgia, che presso l'altare, dietro le porte reali[12], stai
invocando il Signore, questa consapevolezza mi dà la certezza che non
potrà capitare nulla di male, nè a me, nè alle altre
persone, nè al mondo. So che ci sono dei credenti di
altri Paesi (ortodossi e cattolici, dall'Italia, dalla Francia, dal Belgio,
perfino dagli Stati Uniti) che vanno incontro a grandi spese solo per venire
qui e anche solo per una volta partecipare con tutto il cuore alla Liturgia che
viene celebrata nella tua chiesa. Dopo aver pregato, mi metto al
lavoro con la speranza di riuscire a terminare il capitolo prima del nostro
incontro. All'improvviso suona il telefono. - Colonnello! Sono appena
arrivato, la chiamo per avvisarla che oggi, probabilmente, non ci vedremo. - Che cos'è successo?!?
Pensavo che steste celebrando in questo momento. - Macchè! Mi hanno chiesto
di essere alle dieci al Patriarcato, e a mezzogiorno al Consiglio per gli
affari religiosi. - È successo qualcosa? - Sempre le stesse cose. Preghi
per me. - Aspetti! Aleksandr Vladimirovič,
Sašen'ka, non riattacchi! Arrivo subito da lei. Devo essere insieme a lei!
Dove ci incontriamo? - Colonnello, lei deve scrivere.
Perchè sprecare una mattina di lavoro? - Lei forse pensa che io ora
riesca a scrivere qualcosa?!? - Allora ok. Al quartiere
Zubovskij, vicino al monumento a Tolstoj. Alle undici e mezza. … Arrivo nei pressi del
giardinetto in anticipo. Si sta scatenando una giornata calda, afosa. Sulle
panchine i pensionati leggono i giornali, le mamme spingono le carrozzine con i
bambini. «Signore, custodisci e abbi
pietà del mio batjuška padre Aleksandr, proteggilo da ogni
disgrazia e da ogni male…». Sono vicino al monumento, prego per come posso. Negli ultimi tempi sono apparsi
sui giornali degli articoli dove padre Aleksandr Men' è chiamato quasi
direttamente «agente della CIA». E ti sono già arrivate più volte
delle lettere di antisemiti con minacce di morte… Finalmente ti vedo, alla fine del
viale. Mi vieni incontro sorridendo. Saliamo in macchina e metto in
moto. - Mi hanno chiamato per un
interrogatorio. Al Consiglio per gli affari religiosi. - Perchè non al KGB? - Probabilmente per loro è
più comodo così. Per dire, sotto l'ombra religiosa… O per meglio
dire, antireligiosa. Andiamo sul Sadovoe Kol'co e ci
avviciniamo ad una grande palazzina. - Batjuška, la aspetto. - Grazie, ma non so quanto ci
vorrà. - Non importa… Il sole scotta. Vicino rimbomba
il Sadovoe Kol'co, che porta nell’odore di bruciato l'infinita fiumana di
automobili. Sotto ai tigli spogli vanno i passanti. A quasi tutti questi
passanti, fra due anni e mezzo, diventerà noto il nome di quell'uomo che
proprio ora stanno interrogando. Da lì partono le «volga»
con i finestrini posteriori oscurati da tendine. Forse con una di queste
macchine ti porteranno alla Lubjanka o a Lefortovo. «Signore, Gesù Cristo, Ti
prego, custodisci e abbi pietà del mio batjuška padre Aleksandr!». Ma ecco che riappari, sorridente.
Sali in macchina. - Comunque è sorprendente,
Colonnello, il fatto che mi abbia aspettato. Ho percepito, ho sentito le sue
preghiere. - È tutto, batjuška? - Macchè! Vede, hanno la
pausa pranzo. Siamo liberi fino alle due. Andiamo da lei a sentire i nuovi
capitoli. - Ma non facciamo in tempo. Sono
rimasti solo cinquanta minuti. Ha anche bisogno di rifocillarsi. - Non voglio mangiare. Berrei
volentieri una gassosa. La porto alla Casa dei Letterati, prendo al buffet dei
panini, del caffè e della «pepsi-cola». - Batjuška, cosa vogliono da
lei? - Che io non pubblichi più
all'estero -. Bevi la pepsi un bicchiere dietro l’altro. - A loro interessa
come siano finiti là i miei scritti. A proposito, adesso, quando
arriviamo, non si fermi così vicino al loro istituto. Ho paura che
l'abbiano già beccata. - Ma io non ho paura, già
da un pezzo ho deciso di non aver paura. Alla fin fine, io e lei non facciamo
nulla di male. Ci avviciniamo nuovamente al
Consiglio per gli affari religiosi. Di nuovo rimango solo. Passano le ore e tu
non arrivi. Seguo con lo sguardo ogni «volga» nera che si allontana. Il caldo comincia a diminuire.
Finalmente, alle sei meno un quarto, ti avvicini alla macchina. - Finito, batjuška? - Per oggi è tutto. - Cioè?!? - Domani devo tornare. Alle dieci
del mattino. Ma ora andiamo a sentire i nuovi capitoli. - Padre Aleksandr, è
stanco, è pallido come un cencio! Forza, la accompagno alla stazione. - Assolutamente no! Andiamo! A casa preparo velocemente il te
e dei panini, leggo il capitolo non terminato. - Conosce la filosofia di Henri
Bergson? - No. - È sorprendente! In
sostanza, lei scrive le stesse cose, solo in maniera artistica. La prossima
volta mi porto dietro assolutamente Bergson. Sarà una lettura
straordinariamente interessante per lei. Eccezionale! Questo filosofo è
uno dei pochi che ha avuto su di me una profonda influenza. Sa una cosa? Ora le
racconto brevemente il contenuto dei suoi lavori fondamentali. Per lei è
necessario, assolutamente necessario. - Grazie! Ma domani deve alzarsi
presto, si avvicina nuovamente questo Golgota. - Non fa nulla. Faccio solo
qualche telefonata. E poi le racconto tutto. Dopo circa tre ore ti porto alla
stazione, per incontrarci poi il giorno dopo e andare di nuovo là. Così passano alcuni
giorni. E proprio in questo periodo ti è aumentata visibilmente la
canizie. 10 Settembre 1985. In una calda sera atterriamo in
una città sconosciuta dove, rischiarati dai riflettori, sotto le stelle
si ergono le moschee e i minareti. In mano hai le chiavi, ricevute a
Mosca, di un appartamento vuoto. In centro, proprio a Registan, troviamo
finalmente la via Komarova. - Eccoci a Samarcanda! - butti
sul tavolo la borsa da viaggio. - Su, beviamo un te e andiamo a passeggiare per
la città notturna, respiriamo l’aria dell’Asia. Dopo mezz’ora stiamo camminando
per le vie deserte tra gli alberi addormentati e i mausolei medievali. - È tutto esattamente come
lo immaginavo! - dici. Avendo capito che per te era assolutamente necessario
riposare subito, cambiare aria, ho ottenuto una trasferta da uno dei giornali
centrali con l'obbligo di scrivere un articolo sui problemi delle nuove
edificazioni di Samarcanda, Buchari e Chiva. E ti ho portato con me. - Come mi presenterà
durante questo viaggio? Come architetto, segretario dell'obkom[13]? E
negli alberghi bisognerà scrivere chi sono. Non è così
semplice, Colonnello. Come se non ci fossero dispiaceri a causa mia... - Batjuška, è sempre
lei a dire che «tutto è nelle mani di Dio»! Per non stuzzicare il
destino, dirò che è un professore, specialista di storia
dell'Oriente. Tanto più che è vero. Non è forse uno
specialista? All'alba mi sveglio a causa del
rumore delle tortore che tubano fuori dalla finestra aperta. Lancio un'occhiata
al divano su cui dormi. Il tuo viso è ancora corrugato, non si è
ancora allontanato dalle ansie moscovite. Esco in silenzio, addentrandomi
nel labirinto di muri di terra battuta, e finisco in un piccolo bazar dove
vendono focacce calde, ricotte salate fresche, uva e melograno. Ritorno con una borsa stracolma.
Si sente già il fischio del bollitore sulla stufa a gas, mentre mi vieni
incontro dopo esserti lavato, con l'asciugamano sulle spalle. - Mi perdoni, ho dormito fino a
tardi. Preghiamo insieme. Ti avvicini alla finestra, oltre
la quale, nell'aria azzurra sopra le cime degli alberi, splende il sole, e ti
fai il segno della croce. Ripeto dopo di te le parole della preghiera. D'ora in
avanti iniziamo così ogni mattino. Poi andiamo in città,
visitiamo i musei, la tomba di Tamerlano, gli antichi complessi nobiliari, gli
scavi archeologici. Incontriamo gli architetti. Insieme a me esamini i problemi
della costruzione dell'abitato moderno e ordinato. L'architetto locale, un
giovane uzbeco, ci mostra i progetti e i bozzetti dei bianchi quartieri-mahal,
colmi di tradizione popolare: ogni appartamento ha il proprio cortiletto
ombreggiato, la propria grande loggia separata dalle altre. Ci accompagna per Samarcanda, ci
mostra gli angolini segreti non accessibili ai turisti. - Colonnello, scriva
assolutamente di quest'uomo, bisogna aiutarlo attraverso il giornale - mi dici,
e poi aggiungi: - Che popolo pieno di talento! Di solito pranziamo in un bazar o
in una tipica sala da te orientale vicino a uno stagnetto. Ti stai abituando al
tè verde, al plov, ai manty[14].
La tua fronte si sta coprendo di una tenera abbronzatura. Una volta, tornando a casa,
passiamo davanti ad un fotografo di strada, e subito mi proponi: - Dai, facciamoci una foto! - Certo che sì. Può
succedere qualsiasi cosa, ci rimarrà di ricordo. Mi metti una mano sulla spalla. E
in tutta la nostra altezza rimaniamo impressi sullo sfondo dell'antica Registan
con i suoi minareti. Il giorno dopo, invece, facciamo
un viaggio nella città di Shahrisabz, ancora più antica.
L'autobus a lungo percorre la strada polverosa attraverso i campi di cotone. E
sul ciglio della strada vaga un gregge. Mi prendi per mano. - Guardi! Vede che i tori hanno
una striscia chiara lungo la spina dorsale? È la stessa razza che c'era
in Assiria. È straordinario che tutto questo si sia conservato, sia
rimasto fino ad oggi… Nella lercia Shahrisabz, dopo
aver visitato le moschee e i ruderi dei mausolei, ci avviciniamo mentre fa
già buio al nuovo hotel «Inturist», sfarzoso, brillante di luci.
Esibisco il permesso di trasferta del giornale e chiedo una stanza per due
persone. - Ma chi è questo con lei?
- chiede sospettoso l'amministratore. - Non è lui che è
con me, ma io sono con lui. È uno storico famoso! Aleksandr
Vladimirovič, su, mostri il suo passaporto. Entrati in camera, ci laviamo. - Per questa volta pericolo
scampato, - dici tu. - È orribile avere coscienza dei propri diritti
umani calpestati. - Non è nulla,
batjuška, è iniziata la perestroika. Cambierà tutto.
Scendiamo al ristorante a cenare. Su un palco rimbomba l'orchestra.
Intorno, gli elementi della natura brilli. Dopo aver mangiato un boccone,
usciamo nel giardinetto accanto all'albergo e ci sediamo su una panchina. - Neanche in Crimea, nemmeno nel
Caucaso ho visto delle stelle così! Guardi! Sa, spesso mi chiedono
quando ci sarà il Giudizio universale. E io rispondo che può
iniziare anche tra un secondo. In qualsiasi momento. Bisogna essere sempre
pronti. È proprio così. Ma nel profondo dell'anima sono certo che
il Cristianesimo è appena iniziato. Per Dio, mille anni sono come un
giorno… Vede ora queste persone. A loro non è arrivata neanche per
sentito dire nessuna predica di Maometto, nè di Cristo. - Come potrebbero sapere? Le
moschee sono distrutte. Non parliamo delle chiese. Gli atei per settant'anni ci
hanno provato. - Ma come, seriamente pensa che
gli atei siano responsabili della distruzione delle chiese? I veri responsabili
sono i falsi cristiani, tutti i mercanti e i nobili, i parassiti, che hanno
tormentato i servi della gleba, si sono ubriacati, hanno condotto una vita
dissoluta, ma poi in punto di morte hanno tentato di redimersi dal peccato,
hanno fatto donazioni in denaro per la costruzione di templi. Colpevole
è anche il clero, coloro che hanno bevuto, che si sono conformati al
potere secolare, che hanno dato la propria benedizione ad ogni porcheria. Gli
atei sono soltanto uno strumento dell'ira di Dio. Rilegga i profeti della
Bibbia e tutto le sarà chiaro. Ci sediamo e, gettando indietro
la testa, guardiamo il cosmo nero disseminato di stelle. Il mattino presto dobbiamo
tornare a Samarcanda, in modo che durante la prima metà della giornata
possiamo volare alla prossima tappa del nostro viaggio: Buchara. Facciamo l'autostop sul ciglio
della strada. Si ferma una «žiguli»[15].
Il conducente, un uzbeco magro e anziano, sta andando proprio a Samarcanda. Fa
un'altra strada, in montagna, attraverso un valico. I vetri sono abbassati. Il
venticello fresco soffia sui nostri volti. Cresce il cinguettio frenetico degli
uccelli. In lontananza si ergono le montagne, dietro cui spunta il disco
abbagliante del sole… 11 La settimana a Buchara vola senza
che ce ne accorgiamo. Anche qui gli architetti locali ci portano per la
città e ci raccontano dei loro problemi. Andiamo a vedere la madrasa di
Ulugbek, il mausoleo dei Samonidi. In qualche modo sulla pedana
nella sala da tè capitiamo nell'ambiente degli anziani. Queste persone
con la barba bianca e i turbanti iniziano a parlare con noi delle usanze
antiche, di Avicenna, degli dei e degli eroi dell'antichità. Con quanto
rispetto parli con loro. Dopo aver bevuto il nostro
tè verde usciamo. Uno degli anziani mi ferma e mi chiede: - Chi è quell'uomo? Uno
studioso? Allah gli conceda lunga vita! Arriva il giorno in cui, dopo
aver salutato gli architetti e lasciato l'albergo, andiamo all'aeroporto per
volare a Chiva. Là, ultima tappa del nostro viaggio, ci dobbiamo
incontrare con il principale architetto della città. Manca più di
un'ora al decollo per Chiva. - Colonnello, perchè
soffrire nella sala afosa? Fuori c'è un gazebo rigoglioso, avvolto da
viti di uva. Andiamo là, parleremo senza essere disturbati. Si ricorda?
È da molto che minaccia di raccontare della sua esperienza mistica. Sotto al gazebo si sta davvero
bene. Il sole trapela attraverso le foglie d'uva secche. Il cinguettio dei
passeri non copre la voce dello speaker che annuncia la registrazione per il
volo. - Batjuška, chissà
perché mi fa male la testa. A dire il vero, non ho proprio voglia di
parlare dell'esperienza mistica. - Povero! Cura tutti, ma la
propria pressione che si alza… Metta il palmo della mano sulla mia fronte,
preghi. Il dolore passa. - Così, lei sa curare? Parliamo dell'esperienza mistica.
La mia, la tua. A quanto pare, ti sono successe delle cose sorprendenti! E di
nuovo mi chiedi di non raccontare mai queste cose a nessuno. - Vede, ci sono capitate delle
cose il cui ricordo va conservato nel profondo dell'anima. Per non parlare
delle persone che cercano un oggetto d’adorazione entusiasta… È un po'
che non chiamano il volo. Vado a vedere cosa è successo. Dopo qualche minuto torni e
già da lontano urli: - Non mi svenga! Il nostro volo
è partito, tre ore fa! E non ce ne sono altri oggi. - Cosa è successo?!? - Io e lei, grandi mistici, siamo
riusciti a scambiare la data di oggi dei biglietti con l'ora e i minuti della
partenza! È fantastico! - Come può dire
così? E ridere perfino! - Che altro resta da fare? Ma
vede, andrà tutto bene. - Macchè bene e bene! Qui
abbiamo riconsegnato le chiavi della stanza, là a Chiva ci aspetta
l'architetto… Mi dia i biglietti, vado dal controllore di volo. - Non si preoccupi. Si ricordi
che sopra tutto sta la volontà di Dio. Ho saputo dal controllore che di
voli per Chiva non ce ne saranno più. Che fra poco ci sarà un
volo per un certo Turtkul', che è da qualche parte non lontano da Chivi,
fa un piccolo scalo sullo «JaK-40». Se ci sono posti liberi, vendono i
biglietti. - E se non ce ne sono? A me
servono due biglietti! - Se ce ne sono due, ne venderemo
due - risponde il controllore di volo. - Ma sappiate che un altro passeggero
deve imbarcarsi qui. Il passeggero è già
vicino a noi, origlia gelosamente le trattative. Porta una tjubetejka[16], un
vestito grigio, gli stivali con le galosce. - Sa, - dice - ho spedito a Chiva
un camion di melograni da vendere, ma poi ho deciso di andarci personalmente e
ho ritardato un po'. - Ma poi da questa Turtkul' come
si arriva fino a Chiva? - Lì c'è il
traghetto che attraversa l'Amu-Dar'ja, e poi si va in taxi; non è molto
lontano. Dopo una trentina di minuti
stiamo volando tutti e tre verso questa sconosciuta Turtkul'. - Colonnello, non si accigli.
Possibile che non capisce che la vita ci regala un altro ricamo sulla sua tela
magica? - Ben detto! - interviene il
nostro compagno di viaggio e aggiunge, sibillino: - Quello che c'è
adesso a Turtkul', non lo si vede per un anno intero. E così atterriamo
vicinissimo al traghetto a vapore che attraversa l'Amy-Dar'ja. Tutta la riva accanto al
traghetto si presenta come una collina di meloni dell'Asia Centrale portati
lì su barche, auto e carri. Rotondi, lunghi, gialli, verdini, rigati,
tutti i tipi che esistono in Asia sono davanti a noi e mandano un aroma
incredibile. Se ne può comprare uno
qualsiasi a un rublo. Non sappiamo ancora su cosa
indirizzare la nostra scelta; il nostro compagno di viaggio, invece, tirando
fuori un coltello dal gambale dello stivale, taglia già il primo melone,
ci offre due lunghe fette gocciolanti di succo. - Su, provate questo! Non facciamo in tempo a finire le
fette che ci ha offerto, che subito ci porge altre due fette enormi. - Questo si chiama
«krasnomjasaja»[17]!
Mentre questo è lo zar di tutti i meloni! Siamo già sazi di
assaggiare. Ma il nostro compagno di viaggio si avvicina con delle altre fette. Finalmente si avvicina il
traghetto. Il percorso è stabilito in modo tale che la corrente lo porti
lungo un ampio arco fino all'altra riva. Il traghetto si fa aiutare un po' dal
motore. Tu stai lì, appoggiato al
corrimano. - Guardi, Volodja! Tutto questo
era esattamente così anche mille anni fa, quando ci fu la grande
migrazione dei popoli, quando nacque la civiltà. Proprio come nel
deserto scorrono il Nilo, il Tigri e l'Eufrate, è possibile che
là da qualche parte le palme sulle rive… Siamo stati insolitamente
fortunati ad essere finiti qua! Come va la testa? Fa male? - No, batjuška. Il traghetto approda. Mentre
scendiamo il nostro compagno di viaggio, lesto, ci ha già chiamato un
taxi. E così arriviamo di corsa
a Chiva. Le sei di sera. Non sappiamo dove cercare l'architetto, che ci aveva
aspettato invano all'aeroporto la mattina. Decidiamo di andare all'obkom del partito. Solo qui abbiamo la
speranza di trovare qualche informazione. - Colonnello! Ho una notizia
sbalorditiva! Provi ad indovinare! - Di cosa si tratta? - Questa non è Chiva! Ci
hanno portato in un'altra città. Sulle solide porte è appeso un
cartello: «Comitato regionale del KPSS[18]
di Chorezmskij». Nell'atrio pena una guardia. - Sono tutti a raccogliere il
cotone - dice impaurito. Dirigono il raccolto. Non c'è nessuno. - Ma dove si trova Chiva? - A trenta chilometri da qui.
Questa è Urgench. - Ma se è Urgench
perchè c'è scritto «Comitato regionale del KPSS di Chorezmskij»? - È andata così.
C’è sempre confusione da noi . Ma cosa vi serve? Ho appena iniziato a spiegare,
che subito mi interrompe: - Quindi siete voi? Da stamattina
vi aspetta l'architetto della città, è venuto qua, ha chiesto di
voi. Guardate nell'edificio accanto, al primo piano. Alla fine tutto si sistema.
L'architetto ci porta all'albergo turistico, dove l'amministratore a lungo
esamina il tuo passaporto, chiede chi sei, perchè non hai il permesso di
trasferta… - Non si dispiaccia, Colonnello.
Bisogna ricordarsi sempre dove ci troviamo. Se sapesse cosa ho dovuto passare a
causa di uno dei nostri monaci. Cercavano continuamente di dimostrare che ero
estraneo, indesiderato. - E non ha mai pensato di
andarsene? - In qualche modo nella
disperazione mi è venuto in mente di servire come sacerdote ortodosso in
Palestina. Ma sono subito rinsavito. Se puoi essere la luce nelle tenebre per
qualcuno, allora andarsene è un tradimento. Cosa ne pensa? - Batjuška, io sono un
letterato, scrivo in russo. Il paese dove sono nato, quello è il mio
destino. Un cammino di grande resistenza forgia l’uomo… Per questo posso solo
ringraziare Dio per tutte le prove. E per averci fatti incontrare. Proprio qui.
- Ed ora, - cogli al volo. - Qui ed ora. Non è un brutto
titolo per il suo libro, no? - Sorprendente! Avevo proprio
deciso di chiamarlo così! A casa a Mosca l'ho segnato su un foglietto.
Telepatia? - E perchè no? Sono certo
che la telepatia esista. Tutto questo è straordinario. Solo una cosa non
va bene. A causa di tutti questi nostri spostamenti, nè io nè lei
abbiamo la possibilità di lavorare. Ho già iniziato a scrivere un
dizionario di bibliologia, su tutto
ciò che riguarda la Bibbia. Dalla A alla Z. Saranno cinque o sei tomi. - Ma un lavoro simile è
per un intero centro di studi! - Visto che un posto così
non c'è, bisogna che qualcun altro faccia questo lavoro. Quindi, chi fa
la doccia per primo? - Vada lei. - No, tiriamo a sorte. Lanci lei
una moneta. Vado io per primo. Quando esco
dal bagno ti trovo seduto col block notes e la stilografica in mano.
Pensierosamente giocherelli con la barba, scrivi con la tua calligrafia
indecifrabile, simile più che altro ai ghirigori di una stenografa. Come
se qualcuno stesse dettando. 12 Come a Samarcanda e a Buchara, la
mattina arriva a prenderci in albergo l’architetto locale. Di sotto aspetta una
«volga» nera. Andiamo a Chiva. Il vento mattutino dei viaggi irrompe dai
finestrini. Il sole in faccia acceca gli occhi. L'architetto ci racconta dei suoi
problemi, mi appunto qualcosa, non sapendo ancora che a Mosca l'articolo non
verrà mai pubblicato a causa delle tematiche globali della perestroika,
che hanno accantonato per la redazione tutti i problemi isolati. Partecipi appassionatamente alla
conversazione, spesso ti volti verso di noi, finchè non cattura la tua
attenzione l'ingombrante apparecchio fissato tra te e l'autista. - Che cos'è? - Un telefono - risponde il
conducente. - Si può telefonare in qualsiasi città dell'Unione
Sovietica. - Direttamente da qua? Mentre
andiamo? Non può essere! - Provi. - Peccato che non si possa
chiamare a casa, a Semchoz! Là è un numero interno, è
complicato. E a qualcuno a Mosca? - Prego. Componi il numero e, andando in
visibilio, ti metti in contatto con il nostro comune conoscente Alik Zorin: - Sto parlando da un'auto che fa
i novanta chilometri all'ora di velocità! Sono col Colonnello, stiamo
passando di fianco a muli, pioppi e gelsi. Ci stiamo dirigendo verso Chiva.
Saluti a tutti! Arrivederci![19] Mentre tu sei ancora in
visibilio, io sono seduto dietro e penso: «Ma una macchina del genere, con un
telefono simile, a che ente apparterrà?». Per tutto il giorno visitiamo i
musei e i monumenti architettonici di Chiva, mentre verso sera (su richiesta
dell'architetto) andiamo al Gorsovet[20] per
incontrare il presidente. Sediamo nel grande studio sotto
al ritratto di Lenin. Come è strano vederti in questo ambiente. E tu,
come se niente fosse, sorseggi il tè verde da una ciotola, prendi parte
alla conversazione sulle disgrazie di questa città, sulla distruzione
dei monumenti storici. La mattina del giorno dopo la
trascorriamo a Chiva. Poi ci portano lontano, oltre la periferia di Chiva,
là dove inizia il deserto. Qui, vicino a un piccolo stagno, c'è
una casa. In una delle stanze, su un tappeto steso sul pavimento, si tiene un
pranzo in nostro onore. Nel cortile su un barbecue
cuociono gli spiedini. In un paiolo bolle il pesce. Una decina di enormi cani
randagi girano intorno, attirati dal profumo. - Colonnello, questo deserto
è autentico? - Si, è proprio il
deserto. Karakum. Se si va sempre dritto a sud attraverso le piccole dune di
sabbia per qualche centinaio di chilometri lo si attraversa tutto e si spunta
in Turkmenia, ad Ašchabad. - Stupendo! Io vado -. Ti giri ed
inizi a camminare sulla sabbia. - Ma dove va, batjuška?!? - Almeno per una volta voglio
andare nel deserto. Non si preoccupi. Torno presto. Con mia sorpresa, tutti i cani randagi,
dimenticandosi dell'odore invitante, si lanciano dietro di te. L'uomo, circondato dai cani, se
ne va lontano lontano. Ed ecco che non lo si vede più, è dietro
le dune… Il dastarchan[21]
è apparecchiato. Tutti sono seduti alla orientale attorno al tappeto
colmo di cibi abbondanti e saporiti. Ma tu non ci sei ancora. Seriamente preoccupato esco per
venirti incontro, e finalmente vedo in lontananza un puntino in movimento. - Oh, Colonnello! - mi dici
quando nel cortile ti verso un mestolo di acqua. - Tutto il nostro viaggio
è stato stupefacente. Ma la passeggiata nel deserto…! Lo sa quanto mi
serviva! Verificare le proprie sensazioni: ho scritto così tanto sulle
tribù antiche… 13 Perestroika. Glasnost'.
Democrazia. Si accende l’interesse generale per la vera storia del paese, per
la storia della rivoluzione. Il pensiero dogmatico va in rovina. Sembra che
stia cambiando il rapporto dello Stato con la Chiesa. Molte persone
improvvisamente iniziano a pensare al senso della vita, agli eterni problemi
del quotidiano. È terribile la confusione nelle teste della maggioranza. Amici, conoscenti, pazienti
continuamente si rivolgono a me con delle domande. Mentre a te, batjuška,
ti tormentano mille persone. E, ciò non di meno, una volta, quando ti
dico che in questo vortice non riesco proprio a concludere il romanzo, che a
volte non so proprio come rispondere alle persone, mi proponi: - Che scrivano le proprie domande
e io proverò a rispondere per iscritto. Non so come tu possa trovare il
tempo, ma i foglietti con le risposte battute a macchina li ricevo molto
presto. Alcuni di essi li ho conservati: - Qual è il suo rapporto
con la «Rosa del mondo» di Danil Andreev? La «Rosa del mondo» è
certamente un libro di talento che rispecchia l'esperienza precisa di Andreev.
Ma, penso, questa esperienza porta piuttosto un carattere occulto, se non mistico. Occulto nel senso che la sua fonte
non è nelle alte sfere dell'esistenza, ma per così dire, in
quelle spaziali, «astrali». Questa sfera, come è noto, si distingue per
il suo carattere ingannevole e incostante e per la capacità di creare
quadri illusori. Il valore più grande di Andreev è la sua
sensazione di un mondo animato (liurna)
che ha la sua conferma nell'esperienza di molti chiaroveggenti. Questa cosa mi
è personalmente vicina. A parte questo, qualcosa di reale si annida
dietro le immagini degli Uicrar, ma
quest'area è più discutibile. L’idea stessa della «Rosa del mondo» per un cristiano
risulta superflua, poiché la sintesi che essa sottintende può
venire solo da un autentico Cristianesimo ecumenico. - Perchè solo quattro
Vangeli sono canonici? La Chiesa ha dato la sua
preferenza a quei testi che corrispondevano allo spirito della propria
dottrina, che hanno trasmesso adeguatamente la sua fede, che parte dai tempi
degli apostoli. I Vangeli apocrifi vennero contaminati dallo spirito della
teosofia antica, estranea al kerigma[22]
originale (la Buona Novella della Chiesa). La scienza del nuovo tempo ha
mostrato che i quattro Vangeli sono i più antichi e che tutti gli
apocrifi sono di second'ordine, si basano proprio sulle nostre fonti canoniche.
Ma, ripeto, il punto non è nelle date, bensì nello spirito. A
proposito, anche dal punto di vista dei rapporti letterari gli apocrifi sono
come il loglio e imparagonabili ai Vangeli canonici. - Dov'è il confine del
lecito nella vita quotidiana di un uomo rispetto a un altro, tra marito e
moglie, tra genitori e figli? Questo confine è
simbolico. L'ideale è la piena trasparenza l'uno con l'altro. Questo
è il prototipo della futura unità dell'uomo. Prendiamo il poema
di Vjačeslav Ivanov «L'uomo». Siamo tutti ipostasi di Adamo. Ma egli era
scisso, diviso. Nell'amore tra l'uomo e la donna i processi naturali sono messi
al servizio dell'unità delle persone. - Cosa significa essere donna ed
essere uomo dopo un'esperienza di mancanza di fede, una presa di coscienza del
cammino, una prova di libertà? La domanda non mi è del
tutto chiara. L'unità di due persone è condizionata dal fatto che
uno può fare e fa quello che l'altro non può fare e non fa. Se
l'uomo possedesse tutte le capacità femminili, allora sarebbe inutile
l'amore fra l'uomo e la donna. Il sesso è il pegno dell'unità
come complementarità. Questo non ha rapporto con la concreta sociologia
della famiglia. In passato l'uomo combatteva, cacciava, guadagnava, mentre la
donna si occupava del focolare. Ora la donna è coinvolta nelle
cosiddette questioni maschili e quindi la netta ripartizione del lavoro si
è sfuocata. Perfino in Inghilterra ora l'«idolo» tradizionale, il capofamiglia,
spesso prepara la colazione mattutina. Eppure a un uomo normale rimangono la
volontà e la responsabilità, e alle donne normali il calore e lo
spirito del «focolare». - Chi sono, da un punto di vista
spirituale, le persone con un dissesto psichico (matti)? L'uomo, parlando in modo
grossolano, si divide in tre sfere: lo spirito, l'anima e il corpo. Le malattie
fisiche, colpendo il corpo, limitano le sue funzioni; le malattie psichiche,
colpendo il sistema nervoso centrale, limitano o alterano le sue funzioni. La vita
dello spirito sembra come incapsularsi. Ma la vera malattia dell'anima è
il peccato. La volontà di fare il bene può fare di un malato
psichico un santo . Per esempio gli jurodivye[23]. - Come è possibile
comprendere le date concrete della creazione del mondo e di altri fatti
menzionati nella Bibbia? Le cifre bibliche sono simboliche
e non hanno nessun rapporto con la cronologia. 7 è il numero che indica
la perfezione della pienezza. Per questo la creazione del mondo è
avvenuta in sette giorni. Concretamente il lasso di tempo di creazione del
mondo deve essere fissato dalla ragione, dalla scienza, e non da una
rivelazione che permette di svelare alle persone solo quello che non riescono a
concepire con la forza della sola ragione naturale. - Perchè Gesù Cristo
non è chiamato secondo le antiche profezie bibliche? Doveva essere
chiamato Emanuele, «Dio con noi»? La profezia si è
realizzata non alla lettera, ma nella sostanza. Poichè le profezie non
sono delle previsioni, dei pronostici, ma delle preveggenze spirituali della
sostanza del mondo. Se Cristo si fosse chiamato Emanuele sarebbe stato troppo
semplice. Lui lo era. 14 Il 1986 risulta per me come un
anno difficile, mi allontano continuamente dalla scrivania, dal romanzo. Per
questo, quando a settembre mi si presenta la possibilità di andare a
lavorare al manoscritto sul Mar Caspio, a Derbent, sono felice. E soprattutto
sono felice perché tu, batjuška, verrai con me. La nostra stanza si trova al
terzo piano di un edificio in pietra in un villaggio turistico, situato proprio
sul lido, lontano dalla città. Un lavandino, due letti, due comodini, un
tavolo, due sedie, un armadio per i vestiti. E anche un balconcino. Come prima cosa apri la cerniera
della tua borsa da viaggio, tiri fuori una Bibbia con la rilegatura di tela
incerata verde, ci scrivi: «In memoria del bianco Caspio. A. 1986» e me la
regali. Poi esci sul balcone e con
entusiasmo scruti l’azzurro del mare. - Vedremo questa cosa ogni
giorno?!? Andiamo subito a fare un bagno! Scendiamo sulla spiaggia deserta.
Pucciamo i piedi nell’acqua calda. Il fondo sotto ai nostri piedi è
coperto di rocce piatte e di alghe. Vedi che scivolo, con premura mi afferri
sotto al gomito, mi sostieni. E così stiamo già
nuotando. - Colonnello, non nuoti lontano,
così da non farmi preoccupare! - Va bene, batjuška, non si
preoccupi. Quando, dopo aver nuotato a
volontà, torno indietro, mi stai già aspettando per aiutarmi ad
uscire. La mensa del villaggio è
situata in un altro edificio, piuttosto lontano. Il cammino è sbarrato
da una specie di trincea, dietro di essa giganteggia una cinta di sbarre di
ferro che non protegge nulla. Non abbiamo voglia di fare il giro. Noti che in
un punto le sbarre sono raddrizzate e proponi: - Proviamo a infilarci! - e non
senza fatica ti introduci per primo. Poi, scorticandomi un fianco, mi
infilo anch'io. - Colonnello, questa è
un'inferriata straordinaria! Io e lei condurremo uno stile di vita salutare,
sportivo, nuoteremo. Io inizierò a correre la mattina. Lei farà
ginnastica. Dimagriremo. Ogni volta infilarsi qui dentro diventerà
sempre più facile. La mensa si presenta come una
sala oscura con un centinaio di tavolini sporchi e il pavimento consumato.
Prendiamo due vassoi appiccicosi, ci mettiamo in fila dietro ai molti turisti.
A ognuno danno un piatto con una zuppa chiamata «charčo», una pappa di
kaša e un bicchiere del cosiddetto kompot[24]. - Cosa c'è, Colonnello? Un
pasto ottimo. Niente di raffinato, però non ingrasseremo - e sedendoti a
un tavolo, con appetito trangugi il charčo. - Non ingrasseremo, - confermo
io. - Andrà bene se non finiremo all'ospedale... Sa una cosa,
batjuška, con questa mensa è tutto chiaro. Dai, passiamo
direttamente alla frutta. Abbiamo sia il tè che il caffè.
Compriamo del pane. Forse, da qualche parte in un negozio troveremo del
formaggio. - Vedremo, - mi rispondi in modo
vago, mettendoti a mangiare la kaša. Dopo il pranzo compriamo nel
piccolo bazar improvvisato situato vicino alle porte del villaggio turistico
dell’uva, delle pere e due angurie. Durante il viaggio di ritorno troviamo il
modo di passare attraverso la maledetta inferriata con tutto questo ben di Dio. Ci sediamo a lavorare. Lì
viene fuori una cosa evidente: scrivere in due allo stesso tavolino è
impossibile, si sta stretti. E ci distraiamo a vicenda. - Facciamo così,
Colonnello. Io prendo la sedia e il comodino e mi trasferisco in balcone. Il
sole da lì se ne va presto, perché è a Oriente. - Facciamo al contrario, -
propongo io. - Qui ci sarebbe il tavolo e lei ha molti fogli. - Sul balcone lei non scriverebbe
niente. Guarderebbe il mare, i turisti, per farla breve si distrarrebbe. Mentre
io sono abituato a lavorare all’aperto. A Semchoz ho un gazebo. Ti risistemi e su due piedi inizi
a scrivere. Io invece a lungo non riesco a riordinare i pensieri. Continuo a
guardare in balcone, dove stai lavorando. Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša! Possibile che tutto questo sia esistito
realmente? È esistita la tua enorme, magnifica fronte modellata, piegata
sul manoscritto. È esistita la tua mano, che, mentre riflettevi, giocava
con i riccioli della barba. Forse non c'è più niente di tutto
ciò? Non ci sarà mai più? Dio, perchè ti porti via
i migliori da questa terra?!? … Dopo un'ora e mezza circa rientri nella stanza
dal balcone. - Come va, Colonnello?
Perchè non proviamo l'anguria? Dov'è il coltello? E di nuovo ti siedi al lavoro. La
sera andiamo a fare un bagno nel mare. 15 Il mattino inizia con le
preghiere. Io sto in piedi dietro di te.
Vedo il sole che si alza sull'orizzonte del mare, ripeto dopo di te a mezza
voce: - Pàter nòster, qui es in
caelis… Diciamo tutte le lodi mattutine. Ma quando un giorno, all'alba, su
una «žiguli», uno storico mio conoscente arriva per portarci da un malato
e ti rimane pochissimo tempo, ti limiti a una sola preghiera. Che io non
conosco. - Che preghiera è questa
che ha letto, batjuška? - Mi dia un foglietto che gliela
scrivo. Così la impara. Io prego sempre così, se non mi resta
neanche un minuto. Ed ecco, di fronte a me, questo
foglietto: Ti amo Signore Ti amo più di tutto al
mondo Poichè Tu sei la vera
gioia dell’anima mia Grazie a Te amo il prossimo mio Come me stesso Amen Scritto senza punti e senza
virgole. Come si parla, come si pensa. In un solo respiro. Di solito dopo la preghiera
scendi giù e corri sul sentiero lungo la riva. Dal balcone dove faccio
ginnastica si vede una figura con una maglia e dei pantaloncini blu che gira a
sinistra lontano lontano, scompare dietro agli alberi, di nuovo riappare… - Volodja! Scenda in fretta! - si
sente da sotto. - Guardi che mare c'è oggi, è un incanto! Così, in modo molto
semplice, scorre la nostra vita nel villaggio turistico. Gradualmente anche io
mi coinvolgo nel lavoro. Il romanzo si avvicina alla fine. Ogni sera mi chiedi
di leggere quello che ho scritto durante il giorno. - Una qualche volta scriviamo una
sceneggiatura insieme! - mi proponi una volta. - Del tipo? - Sulla vita e la morte. Penso
continuamente a questa cosa. Ora lei finirà il suo romanzo, io
scriverò tutte le voci per il mio dizionario, sebbene non si intraveda
una fine, e proviamo a raccontare sullo schermo la cosa più importante
per tutti. È davvero importante, soprattutto ora che è iniziata
la grande vanità. Ora lei si rallegra, la perestroika… Anch'io,
ovviamente, sono contento. Ma so che nella stessa misura in cui crescono le
forze del bene, crescono anche le forze del male. Bisogna orientare la gente
verso l'eterno. Torneremo ancora su questo discorso… Ma ora voglio proporle una
spedizione. Ha notato che dove c'è la mensa c'è anche una balera?
Perchè non andiamo a dare un'occhiata? Stupito da questa proposta, mi
alzo dalla sedia. E così siamo seduti al buio su una panchina sotto un
albero frondoso. Davanti a noi, in una piazzetta asfaltata inondata di luce
elettrica, si contorce, salta, si scuote la folla. Il cosiddetto «disk-jokey»,
un ragazzo del personale locale, cambia la cassetta nel mangianastri e,
chiaramente deridendo il pubblico, urla nel microfono: - E ora il ballo bianco! Oggi i
nostri ospiti sono dei turisti delle regioni di Vologodskij e di
Archangel'skij. Le dame, le Maše, le Nataše e le altre Njuše,
invitino i cavalieri. Ma solo quelli del posto! Per mostrare l'amicizia dei
popoli. E perfino l'amore! Obbedendo a questa esortazione,
le ragazze e le donne timidamente si dirigono verso le persone dall'aspetto
criminale, che circondano compatte la balera. Rafforzata dalle dinamiche la
cacofonia fa esplodere di nuovo il silenzio. Camminiamo nell'oscurità
lungo il sentiero. Di fianco l'onda del mare sbatte contro gli scogli. - Percepisco il nostro tempo
insieme come l'inizio del Giudizio di Dio - mi dici. - In sostanza, da quando Cristo
è apparso sulla terra, il Giudizio è iniziato già
lì. Tutta la vita nella società umana è già un
Golgota. Durante la notte aumenta
gradualmente un temporale. Dopo colazione andiamo tutto il giorno a Derbent. Questa città, che sorse
lì dove la catena montuosa del Caucaso si avvicina di più al mar
Caspio, da tempo immemorabile controllava lo stretto passaggio da nord a sud.
La minacciosa fortezza di Naryn-Kala giganteggia sullo scoglio ancora oggi.
Lì nella seconda metà della giornata ci aspetta lo storico locale
che poi ci mostrerà tutto in dettaglio, quando le folle di turisti
saranno rifluite. Intanto passeggiamo per questa
città originale, che sembra quasi il piedistallo di una cittadella
ciclopica, ed entriamo in un negozio di libri. Tu compri qualche libro, tra cui
una raccolta di poemi di Evtušenko[25]. - Batjuška, perchè se
l'è comprato? - E se…? E se ci fosse anche solo
un verso umano... E sa, Colonnello, magari si stupirà, negli ultimi
tempi sempre più spesso rileggo Majakovskij. Senza parlare del suo
enorme talento, era un uomo complicato. Sono persuaso che, nonostante tutta la
sua lotta contro Dio, nella sua anima fosse profondamente religioso, anche se
inconsapevolmente. Una specie di Giobbe biblico che litiga con Dio. E inizi a recitare a memoria le
strofe da «La nuvola in calzoni», «Flauto di vertebre». - Hey, cittadini! Venite qua!
È aperto! - ci chiama un anziano baffone[26] con
un grembiule bianco. Andiamo verso il tavolino della
sala da tè. Ci danno un tè forte in piccoli bicchierini con lo stelo
stretto al centro, e dello zucchero in zollette su un piattino. Il cameriere della sala da
tè è chiaramente interessato a due visitatori inusuali. Ci guarda
attentamente, si mette ad ascoltarci, poi si siede al nostro tavolino. Ci
racconta della città multinazionale, dei milionari clandesini, delle
lotte dei clan, di come il direttore della fabbrica di cognac del posto,
venendo a sapere della futura revisione, versò dai barili in un fossato
un'enorme quantità di cognac da vendere sottobanco, e gli abitanti con
dei secchi attingevano da quel torrente. Poi condivide con noi le disgrazie
della sua famiglia: sono tutti malati, si curano, gli tocca dare ai medici
delle bustarelle enormi… - Dappertutto è la stessa
cosa - dici tu, sospirando pesantemente. - Come si chiama? Gasan? La ringrazio
molto, Gasan! Dobbiamo andare. - No. Non vi lascio andare via
così. Vi faccio un saluto. Gasan si alza di scatto, si
allontana da qualche parte. Tutto d'un tratto intorno alla sala da tè si
sollevano fontane, fontanelle, fontanucce. I flessuosi getti d'acqua si
frantumano nel vento, brillano sotto il sole, coprono di spruzzi gli arbusti e
gli alberi verdi. Il cameriere, raggiante, ci
accompagna e ci chiede di tornare ancora. Ci arrampichiamo per i ripidi e
stretti vicoli della cittadella. Lungo il ponte di sampietrini scorrono
torrenti di liquami. Dei cani rognosi corrono dietro ai carri che trasportano
la carne coperta da un telone. Delle vetuste vecchiette orientali,
accovacciate, commerciano a gesti da sotto gli scatolami, i libretti non
rilegati e le vecchie camicie di lana… - Tenga a mente, Colonnello!
Guardi con occhi bene aperti. Eccole un esempio lampante del cosiddetto
socialismo sviluppato. Passiamo davanti a una nicchia di
pietra dove degli adolescenti, passandosi frettolosamente una samokrutka[27],
aspirano una qualche "erba". In alto, nella cittadella, ci
incontriamo con lo storico-studioso del posto. Con entusiasmo ci guida per il
vasto territorio della fortezza, ci racconta delle battaglie, delle conquiste e
delle disfatte. Fino a quando fa buio ci addentriamo con lui tra gli scavi
archeologici, veniamo a sapere dell’arte della fortificazione degli antichi,
dei passaggi sotterranei che sbucano direttamente sul mare. Non mi stanco di meravigliarmi di
come gli studiosi locali intuiscano all'istante con chi hanno a che fare.
Colpiti dalla tua conoscenza enciclopedica, fanno domande, tirano in ballo
problemi scientifici da discutere, condividono le proprie ipotesi. - Vladimir L'vovič, non
è forse ora per noi di tornare a casa? - mi chiedi, un po' stanco. Tu, proprio come me, sei una
«allodola». Alle undici di sera al massimo vuoi dormire, però ti svegli
presto. Al mattino sento un'esclamazione: - Volodja! Guardi, anche qui
è arrivato l'autunno! Sopra al mare calmo vola un
enorme stormo bianco a tre punte. A lungo lo accompagnamo con lo sguardo. - Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo - sussurrano le tue labbra. - Dio, abbi pietà di
me, peccatore… Lavoriamo per giorni interi. A
pranzare, nonostante le tue esortazioni, non ci vengo. E a volte, dal balcone,
ti vedo passare in solitudine tra le sbarre dell'inferriata. - Colonnello, oggi come secondo
c'erano le polpette. Gliene ho portata una. La mangi, per favore. Ci sediamo a lavorare. Dopo un
paio d'ore: - Volodja, perchè non ci
facciamo un bagno nel mare? Mi sono incagliato, non riesco a scrivere. Ecco
cos'ho fatto invece di lavorare - e mi mostri due fogli di carta coperti di
disegni di animali preistorici. Un mammut, uno pterodattilo, una lucertola. In
tutto dodici immagini. In basso su uno dei fogli due figure umane stilizzate
con una scritta: «Due dervisci». - Questi siamo io e lei, - mi
dici e inizi a stracciare i disegni. - Ma che fa??? Sašen'ka! Li
dia a me, la supplico! Questi disegni sono ora davanti a
me. Splendidamente eseguiti, come dal vivo. E con humor… Dopo aver fatto il bagno,
torniamo a casa salendo le scale. Nel pianerottolo fra il secondo e il terzo
piano, il nostro, c'è un televisore acceso. Danno un cartone per
bambini. E io vedo che ti blocchi, ti fermi e ti lasci andare in poltrona. Da molto ho notato che i film
semplicemente ti attirano. Qualsiasi film. Io cerco di filarmela se il film non
mi piace. Mentre tu trovi il modo di guardare fino alla fine perfino il film
meno riuscito, cerchi di capire perchè è venuto male, lo
analizzi. - Dunque, Colonnello, torno di
nuovo all'idea di scrivere una scenografia sulla vita e sulla morte. Penso che
non dovrebbero esserci attori. Facciamo delle interviste a chi è
sopravvissuto alla morte clinica, ai
sacerdoti di tutte le religioni, sottolineiamo quello che dicono in comune
sull'esistenza dopo la morte. Forse potrebbe farlo proprio lei? Non avrà
mica preso una laurea in regia per nulla! - Ma chi ci farebbe mai girare un
film simile? - Ce lo permetteranno! Proprio in
questo momento, in cui è possibile aprirsi una strada. Chi lo sa cosa
sarà poi! Il giorno dopo in spiaggia appare
un fotografo. Immediatamente mi trascini fuori dalle onde del mare ed ecco che
siamo seduti su uno scoglio davanti alla macchina fotografica. Qualche giorno prima della nostra
partenza riceviamo le foto. - Lo sa, non mi ero mai riposato
così! Abbiamo sia fatto tanti bagni, che lavorato… … Nel freddo vagone con i
finestrini abbassati andiamo a Mosca, incontro alle piogge, incontro al futuro. 16 Nella primavera del 1987 finisco
il romanzo. E inaspettatamente decido di sposarmi. Presentandoti Žanna,
vedo la tua piena approvazione. Ci sposi, solenne, regale. - Confesso di essermi molto
preoccupato per il Colonnello. Non è bene che un uomo stia da solo.
Voglia il Signore che fra di voi vada tutto bene, - dici a mia moglie. Questo cambiamento nel mio
destino non ci allontana affatto l'uno dall'altro. Nei giorni in cui frequento
la chiesa a Novaja Derevnja, spesso ti aspetto dopo la funzione per poi andare
insieme a Mosca. L'attesa a volte si
dilunga per ore e ore. Una gran quantità di persone si affolla nel
cortiletto della chiesa, per ognuno è indispensabile fare le proprie
domande, parlare un po'. Uscendo dalla chiesa, finisci in un fitto anello di
persone desiderose di un contatto, e per tutti hai una parola, un sorriso.
Molti si trascinano dietro di te nella casetta di fianco alla chiesa, nello
studio. - Un minuto! - a passi veloci
vieni verso il cancello, dove ti aspetto vicino alla mia «zaporožec». -
Volodja, ancora una trentina di minuti, al massimo quaranta, e poi andiamo. Va
bene? - Certamente. Non si preoccupi,
non abbia fretta. Passa ancora un'ora, un'ora e
mezza. Finalmente appari con la tua immancabile cartella pesante, ti siedi in
macchina, mi allunghi un panino o una mela. - Mi perdoni, Colonnello. L'ho
fatta aspettare così tanto… - Lei è riuscito a
mangiare un po’? - Ho spiluccato qualcosa. Beh,
che novità per il romanzo? - Lo leggono in diverse riviste.
Dicono che è molto interessante, piace, ma nelle recensioni scrivono che
è troppo voluminoso, che il lettore sovietico non è preparato a
questo tipo di opere. - È proprio così.
Non è preparato. Sa una cosa? Oggi, quando avrò finito tutte le
amministrazioni, faccio un salto da lei. In ogni caso voglio prendere da lei
una copia. - Per fare? In che modo
può aiutarmi? Se neanche a lei fanno stampare un solo libro in Urss. - Le vie del Signore sono
imperscrutabili, - mi dici vago, e poi mi chiedi: - Ma perchè non si
mangia la mela? - Guidare un'auto col comando
manuale e allo stesso tempo mangiare è praticamente impossibile. - E allora le darò io da
mangiare. Arrivati a Mosca, a lungo
cerchiamo le vie e i vicoli dove abitano le persone che aspettano il tuo aiuto,
la tua benedizione. Solo a sera arriviamo a casa, da me. In fretta bevi il
caffè, fai qualche telefonata, prendi una copia manoscritta del romanzo. Ed eccoci già alla
stazione Jaroslavskij. - Dio la custodisca! - mi
benedici con il segno di croce e, come sempre senza guardarti intorno,
precipitosamente vai verso le banchine. A casa mia moglie mi racconta che
ogni volta, venendo da noi, trovi un momento libero per chiederle: «Come va con
Volodja? Si prenda cura di lui. Non vivete in ristrettezze? Ecco, prenda dei
soldi, basta che lui non lo sappia». Padre Aleksandr, Aleksandr Vladimirovič,
Saša! Quando Žanna declina il tuo aiuto, di nascosto infili i soldi
nei libri sugli scaffali! Non molto tempo fa, aprendo «Moby Dick», che non
leggevo da molto tempo, ho trovato qualche altro pezzo da venticinque. Dal 1988 nel Paese si creano le
condizioni che ti danno la possibilità di intervenire con una predica
aperta sulla dottrina di Cristo. I primi interventi fuori dalla
chiesa, le prime pubblicazioni su giornali e riviste firmate «arciprete
Aleksandr Men'». Ovviamente io sono felice del fatto che tu sia uscito verso la
gente, verso un ampio auditorio. E allo stesso tempo la cieca e invidiosa
disapprovazione delle gerarchie ecclesiastiche, le crescenti minacce
dell'associazione «Pamjat'»[28],
vengo a conoscenza anche di tutto questo. - Batjuška, esce così
presto da casa, poi torna tardi. Possibile che non capisca che sia pericoloso?
Una volta un qualche farabutto si mette in agguato… Quanti dei suoi amici,
dandosi il cambio, potrebbero proteggerla! E lo farebbero con piacere. - Ma che dice, Colonnello! Sopra
a tutto sta la volontà di Dio. Istantanea come il bagliore del
lampo, questa scena spaventosa l'ho già vista tempo fa, ancora prima che
ti interrogassero al Consiglio per gli affari religiosi. Già allora ti
ho chiesto e ho cercato di convincerti a stare attento. Ho sempre ricevuto la
stessa risposta: «Sopra a tutto sta la volontà di Dio». Il tempo vola. Per la prima volta
ti fanno andare all'estero, in Polonia. - Batjuška, se sarà
possibile visiti Cracovia. Dicono che sia una città straordinaria. Al ritorno mi spieghi che tutto
il tempo è andato per il lavoro nelle biblioteche, hai studiato il
materiale per il tuo vocabolario di bibliologia. Non c’era da andare in giro… Una volta mi mostri un lungo
foglio di carta dove a computer sono stampati gli orari degli interventi di
tutta la prima metà del 1989. Ogni giorno, ogni ora, tutto è
stabilito in anticipo. Arriva la sera in cui per la
prima volta appari su uno schermo televisivo. In questo periodo iniziamo a
vederci più raramente. Sei occupato da mattina a sera. Al mattino il
servizio, di giorno le amministrazioni, la sera gli interventi. E ancora gli
incontri con una grande quantità di persone. Il telefono squilla, sempre
all’improvviso. - Colonnello, la chiamo dal club
sulla Volchonka, tra cinque minuti vado in scena. Come va lei? - La casa editrice «Sovetskij
pisatel'»[29] ha
stipulato un contratto per il romanzo! Uscirà nel 1991![30] - Complimenti! Gliel'avevo detto
di non perdere la speranza. Passo a trovarla fra qualche giorno. Saluti
Žanna! Dopo qualche giorno nel silenzio
risuona il tipico triplo squillo alla porta. Appari con la solita cartella e
uno zaino in spalla. - Possibile che fra due anni io e
lei terremo in mano un libro chiamato Qui
ed ora?!? Ancora una volta dico che il suo compito è quello di
scrivere, senza perdere neanche un giorno. Cosa sta facendo adesso? Si ricorda
di avermi raccontato di due viaggi, nel Caucaso e in Egitto? Devo dirle che
spesso coi pensieri torno a queste storie. Perchè non scrivere sulla
base di essi la seconda parte della ricerca spirituale del suo eroe, Artur
Kramer? Ci pensi! Dopo aver bevuto il tè,
guardi inquieto l'orologio. - Sa una cosa, mentre andiamo
alla stazione facciamo un salto in rosticceria, oggi viene ospite da me un
sacerdote dalla Cecoslovacchia e a casa non c'è niente da mangiare. Facciamo un salto in una
rosticceria, in un'altra. Anche lì non c'è niente da mangiare,
solo scaffali vuoti. Quasi di fronte alla stazione Jaroslavskij riusciamo a
comprare due chili di peperoni secchi farciti. Li cacci dentro a una borsa di
plastica. - Batjuška, cerchiamo
ancora. Che razza di cibo da offrire è? Un'inezia. - Un ottimo cibo! Ottimo! In ogni
caso non troveremo nient'altro. E il tempo è prezioso. E ho una
richiesta per lei: fra qualche giorno partirò insieme agli esponenti
della cultura per un simposio in Germania. Il volo sarà di mattina. La
sera prima posso venire a dormire da lei? Visto che abita sulla via per
Šeremet'evo-2. - Che domande sono? Ma certo! Da allora sempre, prima di
partire, passi la notte da me. Ceniamo insieme, guardiamo la televisione: hanno
iniziato a trasmettere le funzioni religiose, a far vedere le chiese, sempre
più spesso sulla bocca di chi interviene appare la parola
«spiritualità». - Ovviamente, grazie anche per
questo… - dici. - Chi avrebbe potuto pensare che io e lei saremmo vissuti fino
a vedere questo… Eppure è poco probabile che tutto ciò abbia a
che fare con la religione. Semplicemente si sono infranti i vecchi schemi
totalitari. È aumentato colossalmente l'imperversare della
criminalità. Lo Stato si è smarrito. Attraverso l'aiuto della
Chiesa vuole stabilire delle norme morali. Faccia attenzione, nessuno, neanche
le gerarchie che appaiono in televisione, mai, neanche una volta, ha predicato
di Cristo, di Dio, o ha parlato della sostanza stessa di quello che sappiamo,
di quello in cui crediamo. I paesaggini melliflui con le chiese che vendono sul
Vecchio Arbat, questa è tutta la «spiritualità». Bisogna dire che
anche questo può finire in qualsiasi momento. Bisogna sbrigarsi! Portare
le persone alla parola autentica di Cristo, e non a un qualche surrogato
spirituale per poveretti. Arriva il 1990. 17 In televisione, alla radio, negli
stadi, nella maggior parte degli auditori risuona la tua voce. I giornali e le
riviste pubblicano i tuoi articoli. Le tue prediche raggiungono milioni di
persone. Di solito non vengo ai tuoi
interventi. E non solo perchè sono occupato, ho scritto una novella, sto
intraprendendo una cosa nuova legata ai temi dei viaggi di cui abbiamo parlato. Non vengo quasi mai a questi
interventi perchè sento fisicamente un’atmosfera di idolatria, creata
dal pubblico esaltato intorno a te. La fede è un fatto di esperienza
spirituale profondamente personale. L'entusiasmo religioso generale, di massa,
è solo una passione, una moda. Inoltre, la folla ha la
peculiarità di abbattere gli idoli poco tempo dopo averli innalzati … Mentre tu, come se non notassi
nulla, con il cuore puro continui la tua predicazione. Una sera mi avvicino al club
sulla Volchonka. Tu appari circondato dalla gente. E qui, per strada, tutti ti
fanno domande, chiedono quando sia possibile venire in chiesa a battezzarsi. Finalmente ti siedi in macchina e
andiamo via. - Colonnello, non vorrebbe dirmi
qualcosa? - No. - Non finga. Da molto lo sento,
è maturato. Parli! - Ah, batjuška, forse ho
torto, ma mi sembra che tutte queste persone la trasformino in una superstar.
Mi creda, in me non è la gelosia che parla. In alcuni dei suoi articoli
ha iniziato a ripetersi. Ma ogni suo intervento, secondo me, dovrebbe essere un
avvenimento. - Voloden'ka, ha assolutamente
ragione. Ma si metta nei miei panni. Quanti anni sono stato in silenzio! Mentre
ora, al pari del seminatore della parabola, ho ricevuto una possibilità
unica di spargere le sementi. Si, la maggior parte di esse cade sul terreno di
pietra, e non ne verranno germogli. Cosa pensa, che io non veda la
confusione nella testa della gente? Ma
se dopo il mio intervento si ridesta qualcuno, anche solo uno, forse che questo
è poco? Sa, ho la sensazione che a breve tutto questo finirà,
almeno per me. - Da dove le è venuto
questo pensiero? - in risposta silenzio. - A proposito, a giorni mi
incontrerò con gli scrittori nella Casa dei letterati. Venga! E così sono seduto in una
sala stracolma, guardo il palco illuminato dove tu, dopo aver tenuto una
lezione, con il microfono in mano rispondi alle domande. Non si contano. Ad
esse rispondi in modo ispirato, finchè non dispieghi l'ennesimo
foglietto con sopra un'altra domanda. - A-ha! Eh già! La
aspettavo da molto questa. Perfino qui non la si poteva evitare. «Cosa ci fa
lei, ebreo, nella nostra chiesa ortodossa?» - ecco quello che c'è
scritto… Padre Aleksandr, Aleksandr
Vladimirovič, Saša! Tranquillamente spieghi alla sala che per il
Cristianesimo non ci sono «né giudei, né greci», e mi si stringe
il cuore. Ma come posso rimproverarti, quando ogni tuo intervento in questo
ambiente è un ulteriore atto di coraggio personale… «Signore, custodisci
e abbi pietà del mio batjuška padre Aleksandr!». In primavera e in estate fai due
viaggi in Italia. Dopo uno di essi vengo a prenderti all’aeroporto di
Šeremet’evo, rallegrandomi in anticipo per il fatto che sei riuscito a
riposarti. Appari da dietro il bancone del
controllo doganale, irriconoscibile. Invecchiato. In qualche modo più
piccolo. Le borse sotto gli occhi. - Cos'è successo,
batjuška? - Non andrò mai più
all’estero. Prima di tutto, è caro. Non ho il diritto di spendere per me
stesso così tanti soldi. E in secondo luogo, vanità delle
vanità. Alla fin fine, tutto quello che ho visto lo sapevo già
dai libri e dai film. Sarebbe stato meglio lavorare a casa, il dizionario non
è ancora definito. E a lei come va? Il nuovo romanzo procede? - Procede. - Grazie a Dio! A Roma le ho
comprato le sue amate stilografiche con l'inchiostro nero. Scriva. Fra qualche
giorno verrò apposta per ascoltare. 18 31 luglio 1990. Se avessi saputo
che ci saremmo visti per l'ultima volta, che rimanevano solo 40 giorni… Quel giorno esco il mattino per
degli affari, e quando torno a casa sento la tua voce. Tu e Žanna pranzate
in cucina, parlate di qualcosa, ridete. - Di cosa parlate voi due qui? - Di lei, Colonnello! Dov'era
finito? Ho una richiesta. Ho bisogno di andare a Strogino, per confessare e
dare la comunione a una malata. E poi, se è d'accordo, torniamo da lei
per ascoltare quello che ha buttato giù. - Andiamo. - Prima mangi qualcosa.
Sarà affamato. A Strogino ci tratteniamo un po'.
A lungo lavano la malata, la cambiano, le rifanno il letto. Aspettiamo in
cucina. - Colonnello, qualche tempo fa ho
mandato il suo romanzo in Inghilterra. Lo tradurranno là! - A chi? Dove? - Queste non sono cose che la
riguardano. Il suo lavoro è quello di creare. Žanna mi ha detto che
andrete a Koktebel'. Alla Casa degli artisti? - Si, se ci daranno il permesso[31]. - Eh, Colonnello! Se non avessi
passato così male le vacanze in Italia, mi sarei fatto invitare. Mi
sarei sistemato da qualche parte lì vicino… - Eccezionale! Forse riusciamo ad
organizzare. Non riesce a scappare per una decina di giorni? Dobbiamo andare
proprio alla fine di agosto. Compro un biglietto anche per lei! - Non se ne parla nemmeno! Ho
appena intrapreso la costruzione di un battistero di fianco alla chiesa.
Andandomene, avevo lasciato l'incarico alle persone più affidabili. E
non hanno fatto niente, niente. Bisogna mettersi al lavoro. - E per quanto riguarda l'uscita
dei suoi libri in Urss? - Un mare di proposte. E come
risultato ancora zero. Chi non ha la carta, chi non ha la tipografia. Alcuni
hanno delle buone intenzioni. Il dizionario è terminato. Anche per
questa pubblicazione c'è una nebbia generale. Finalmente la malata è
pronta. Vai nella sua stanza. Io rimango da solo. Ho ancora tempo per trovare
il modo di convincerti a venire con noi. Forse, se avessi trovato le parole,
gli argomenti, le prove e fossi riuscito a convincerti della necessità
di questo viaggio, non sarebbe successo nulla? Non lo so. In ogni caso il senso
di colpa è tanto. Non ha fine. Sulla via del ritorno mi chiedi
di fermarci accanto a una panetteria. - Perchè, batjuška? - A casa non avete pane. Esci dal negozio con anche una
torta. - Ecco. Ci è andata bene.
Cioccolato e wafer. Siamo seduti in cucina davanti al
tè e alla torta. Tu, come sciogliendoti, racconti in modo avvincente del
mar Adriatico, del pescespada e di altre meraviglie di quel mondo sottomarino.
Poi ti leggo le prime pagine del nuovo romanzo. - E questo è tutto quello
che ha scritto? Colonnello, all'ultimo romanzo ci ha lavorato sette anni.
Troppo a lungo. Quanto tempo richiederà questo? Ha già ponderato
tutto, abbiamo esaminato tutto insieme, le ho dato la mia benedizione. Qual
è il problema? - La vita distrae, ma per il
resto tutto a posto. Ho anche pensato al titolo. - Quale? - Tutti i dettagli di questo viaggio. -Va molto bene! È molto
pertinente. Ora va a Koktebel', là non dovrebbe distrarla nulla. Faccia
il bagno di tanto in tanto e scriva. Per riportare almeno metà libro. Così
per Capodanno sarà finito. Bisogna sbrigarsi, Colonnello! Quante volte
gliel'ho già detto, chissà cosa ci aspetta. E quaranta giorni dopo, quando,
uscendo dal mare dopo il lavoro, mi distendo sulla calda ghiaia della spiaggia
di Koktebel', spunta una donna con un foglietto in mano e urla: - Chi è qui Vladimir
Fainberg?!? - mi alzo. Le vado incontro. - Un telegramma per lei da Mosca,
- dice lei, guardandomi con terrore. Leggo: «Ucciso padre Aleksandr
Men'». Non ho fatto in tempo ad arrivare
per il funerale. Al nono giorno sono vicino all'angolo del giardinetto della
chiesa, presso la tomba coperta da una montagna di fiori. Il vicedirettore della Biblioteca
di letteratura straniera Katja Genieva mi dice: - Qualche giorno prima
dell'assassinio padre Aleksandr era stato da me al lavoro. Era appena arrivata
una lettera da Londra che diceva che il romanzo Qui ed ora aveva raggiunto il primo posto. Non voleva dirle che era
un concorso. Per non ferire il suo amor proprio in caso di insuccesso. Se vi
foste visti, come sarebbe stato contento! Ha fatto un salto quasi fino al
soffitto. Mi ha detto: «Bisogna scrivere, congratularsi col Colonnello». Che fare ora col romanzo? Sono
rimasto orfano. Come lo sono le centinaia di persone strette attorno con le
candele accese in mano. Sašen'ka, Sašen'ka,
come volevamo proteggerti, tutti quanti, e invece nel momento più
orribile, tu, sempre circondato dalla gente, sei rimasto solo… Aleksandr Vladimirovič,
caro, amato, veramente lì, in quella tomba, immobile giaci tu? Il
più vivace, il più allegro… Padre Aleksandr, batjuška
mio, quali pensieri ti sono balenati quando, con il sangue che scorreva, ti
muovevi ancora lungo la stradina verso casa? Per cosa pregavi? Perchè
alle donne che ti sono venute incontro non hai detto il nome dell'assassino?
Del resto, mai, neanche una volta hai parlato male di qualcuno. Di nessuno. In uno dei tuoi libri hai
scritto: «La vita secondo i precetti della religione è inscindibile
dalla lotta per il trionfo del bene, dalla lotta per tutto ciò che
c’è di luminoso e magnifico; essa deve essere non un’attesa passiva
della "manna dal cielo", ma una coraggiosa resistenza al male». Leggo e ancora una volta sento la
tua voce, padre Aleksandr, Aleksandr Vladimirovič, Saša… V. Fainberg, scrittore, Mosca,
1991. [1] Padre Men’ era controllato dal KGB,
quindi entrare in contatto con lui significava essere poi controllati a propria
volta dal KGB. [2] Moskovskij Gosudarstvennyj
Universitet, Università Statale di Mosca. [3] È il prete, con il quale si ha
un rapporto di vicinanza. [4] Treno elettrico locale che dal centro
di Mosca porta ai paesi e alle campagne circostanti. [5] Moglie del poeta Maksimilian
Vološin (1877–1932). [6] L’autore di questi ricordi prestava
aiuto alle persone malate in modo assolutamente disinteressato e gratuito
(NdC). [7] Latte fermentato, simile allo yogurt,
ma più naturale e tipico russo. [8] Il tipo più povero di macchina
sovietica. [9] San Sergij di Radonež, santo
protettore di Mosca, fondò uno dei più importanti ordini
monastici di Russia. [10] Auto russa di alto livello in
produzione durante l’epoca sovietica, destinata solamente ai funzionari del
partito e del governo. [11] Preghiera liturgica ortodossa. [12] Parte dell’iconostasi, è la
porta attraverso la quale passa il sacerdote. [13] Comitato regionale del partito
comunista. [14] Plov: riso con la carne. Manty: tipici ravioloni uzbechi. [15] Tipica automobile russa. [16] Cappellino orientale a calotta. [17] Letteralmente rosso-carne. [18] KPSS: Kommunističeskaja Partija
Sovetskogo Sojuza, PCUS: Partito Comunista dell’Unione Sovietica. [19] In italiano nel testo. [20] Ente locale di gestione, municipio
sovietico. [21] Tavolo basso presente in tutti
giardini dell’ Asia Centrale. [22] Il kerigma è l’annuncio
esplicito della Salvezza in Cristo. Cristo, sconfiggendo la morte, ha perdonato
i tuoi peccati e ti ha salvato, ti ha donato la vita eterna. [23] Folle per Cristo. Letteralmente significa pazzo, scemo dalla nascita, folle.
storicamente però ha assunto un significato preciso, religioso, i folli
per Cristo sono coloro che servono Dio sotto la maschera della pazzia e della
semplicità. [24] Charčo: tipica zuppa caucasica. Kaša: specie di polenta preparata con grano. Kompot: bevanda ricavata da frutta o bacche bollite. [25] Evgenij
Aleksandrovič Evtušenko (1933) poeta russo. [26] Usač, il Baffone, era anche il
soprannome di Stalin. [27] Sigaretta fatta a mano. [28] Associazione che si rifà a
quella dei «Cento Neri», un’organizzazione
politica antisemitica di estrema destra sorta in Russia durante la rivoluzione
del 1905. [29] «Scrittore sovietico». [30] Il romanzo Qui ed ora è uscito nel 1991 presso la casa editrice
«Sovetskij pisatel’» con una tiratura di 15000 copie. Si sta preparando la
pubblicazione in Italia e in Inghilterra (NdR). [31] Nell’originale putëvka, un foglio
di viaggio che veniva concesso dallo Stato per poter passare le vacanze nei
luoghi di villeggiatura, anch’essi statali. |
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